Anthea si rivela un'amica.

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Prima di mezzogiorno arrivò Anthea, finalmente vidi il volto della misteriosa segretaria di Mycroft, era il suo braccio destro e naturalmente era bellissima come sospettavo, lui non era tipo da circondarsi di collaboratrici basse e pienotte.

Entrò in obitorio come se fosse il posto più naturale del mondo. Elegante, un tailleur beige sobrio, i capelli ramati che scendevano sulle spalle, il trucco leggero, occhi castani chiari e naturalmente un corpo sinuoso.

Un sottile fastidio mi prese allo stomaco, il mio caro Holmes doveva essere uno stupido per non averla mai frequentata, cieco e stolto per non avere visto quanto era affascinante.

"Buongiorno dottoressa Lorenzi, finalmente ci conosciamo." Mi raggiunse alla scrivania camminando leggiadra e mi allungò la mano.

"Buongiorno a lei Anthea, Mycroft la nomina spesso, finalmente ora ha un volto." Le sorrisi bonariamente, come si faceva a non ammirare la sua educata cortesia. Rimase in piedi, dritta e statuaria.

"Il mio capo esagera, io faccio solo il mio lavoro." Si schernì senza malizia.

"È una costante questa del lavoro! Siete così legati ai vostri impegni che mi risulta difficile pensare che abbiate una vita sociale."

"No, tranquilla, io mi ricavo i miei spazi, anche se Mycroft li assorbe spesso. Non mi permette molte distrazioni, è uno stacanovista." Fece un risolino compiaciuto. "Ma penso già lo sappia, visto che lo vede spesso." Mi fissò divertita, come se sapesse di più, cosa fosse non riuscivo a capirlo e infatti riprese per giustificarsi.

"Tranquilla, Mycroft non si concede molto, ma lei ha scalfito un po' della sua corazza." Anthea si voltò con noncuranza, si assicurò che lui non sentisse.

"Grazie per essersi presa cura di lui, non si lascia avvicinare molto quando è in difficoltà."

Mi incuriosiva la sua naturalezza e le rimandai un sorriso sincero. "Me ne sono accorta. Peccato che si nasconda dietro alla sua armatura lucente. Vuole proteggere tutti."

"Non tutti Lorenzi, solo quelli a cui tiene, e sono poche dita di una mano." Ridacchiò e mi sorrise complice, lei sapeva molte cose del suo capo, ma sicuramente era disinteressata al mio rapporto con lui.

"Laura, non le sono nemica, ma Holmes meriterebbe una certa stabilità." La sua ammissione mi sorprese, doveva essere molto affezionata a Mycroft.  "Ora devo raggiungerlo o diventerà sospettoso, se non lo è già. Le mando il mio numero di cellulare, lo memorizzi. Sono sempre disponibile, naturalmente sono gli ordini del mio capo."

La ringraziai e lei scivolò verso l'ufficio provvisorio di Holmes, la seguivo con gli occhi e saperla al suo fianco mi diede sicurezza, mi piaceva che lei lo stimasse.

Presi i resoconti delle autopsie in corso, ma non riuscii a concentrarmi nel lavoro. Perché la mia mente girava a cerchio intorno a quella frase.

Anthea mi aveva fatto capire che contavo qualcosa per lui.

Io, Laura Lorenzi contavo qualcosa per il British Government. Mi passai la mano nervosamente nei capelli e scacciai il fastidioso pulsare delle tempie, il passato mi perseguitava.

Dopo la morte dei genitori non ero tornata alla tenuta, mi ero stabilita a Siena in compagnia di altre studentesse. Avevo affidato la proprietà allo zio Pietro, e mi ero buttata nello studio. La mia unica priorità era diventate patologa forense.

 Evitavo i rapporti i con i maschi, li frequentavo solo se facevano parte del gruppo ristretto di amicizie dell'università. Mi rifiutavo di concedermi e mi ero chiusa in una solitudine devastante. E all'amore non pensavo, niente mi attirava nei ragazzi che mi giravano intorno. Alla fine decisi di andarmene da Siena e seguire lo stage a Londra, cambiare aria divenne una necessità.

Certo ero partita sicura di volere fortemente quel diploma, fino a che Mycroft non fece il suo ingresso al san Bart e cambiò la mia prospettiva di vita. Lui con tutte le sue difficoltà, le sue manie, e la sua solitudine iniziò a minare le mie certezze. 

Infondo lo avevo voluto come "friend" e anche lui, ma la cosa stava andando oltre. Ora mi sentivo fuori sincrono, era stata una decisione sofferta raccontargli la mia storia, mi ero spinta in una confidenza che non avevo dato a nessuno, che adesso sentivo pesante temendo mi ignorasse e non sapendo che comportamento avrebbe tenuto,  mi spaventai.

Alzai la testa inquieta e li vidi uscire insieme. Lui si staccò e si avvicinò, mentre Anthea rimase in disparte.

"Laura, devo andare, un impegno che non posso evitare, ti avrei portata a pranzo, perdonami."

"Non fa niente, tranquillo." Riordinai malamente la scrivania, accartocciando le cartelle. Alzò le sopracciglia mentre mi guardava sorpreso dal mio fare maldestro. Scosse la testa.

"Bada a seguire le mie raccomandazioni. Chiudi la porta principale quando vai in sala obitorio. Non tardare e non fare di testa tua. Ti scongiuro avvertimi." Quello "scongiuro" mi addolcì e mi rese malleabile.

"Va bene farò la brava, ma una passeggiata concedimela."

"Chiama Albert se devi spostarti. Ti mando tutti i numeri necessari, memorizzali e usali." Inclinò la testa di lato con un sorrisetto ironico.

"Tanto lo so che sei testarda." Lo vidi trattenersi pensieroso, portò la mano al mento sfregandosi la barba che stava già ricrescendo. "Visto che non posso portarti a pranzo, che ne dici se ceniamo insieme stasera?" Mi guardò titubante aspettando la mia risposta, era contento della sua idea.

Rimasi incerta ma era soltanto una serata tra amici e nulla di più, lui di certo non sarebbe andato oltre.

"Perché no? Mi piacerebbe uscire di sera e con te mi sento sicura." Lo guardai e pensai che fosse simpatico rimanere con lui, soprattutto perché non erano molte le occasioni da sfruttare per stare un pò soli.

"Bene allora alle otto vengo a prenderti, ti prometto che non farai tardi. E di ripagarti per le tue attenzioni."

"Spero non sia un posto troppo elegante." Ero impensierita che mi portasse in un locale fuori dai miei standard, volevo fargli capire che non ero propriamente una delle dame dell'alta borghesia che conosceva.

"Tranquilla, niente di stressante, stasera solo relax." Agitò la mano in aria, mentre con l'altra ondeggiava il suo ombrello soddisfatto, si voltò, raggiunse Anthea, che mi salutò approvando con lo sguardo.

Sospirai mentre li vidi scomparire oltre la porta a vetri, ero in pace con me stessa, perché Mycroft si era comportato come desideravo.

Nemmeno un accenno a quello che gli avevo raccontato, non un cambio di umore, né di atteggiamento.

Era un perfetto gentleman. Non c'era che dire, mi aveva trattata senza quella fastidiosa pietà che i miei parenti in Italia mi dispensavano tutte le volte che mi incrociavano. Cercare di dimenticare il passato in quel modo non era possibile, Holmes lo aveva capito e gliene fui grata.

Passai l'ennesima mattinata da sola, pranzai come spesso accadeva davanti al distributore automatico a mangiare un panino, certa che avrei recuperato a cena.

 Alle sei filai a casa per organizzarmi per la serata. Ero in ansia come una stupida adolescente alla prima uscita.

Le solitudini elettiveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora