32. A cuore (mezzo) aperto

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«La porto a casa?»

«Sì Fred, grazie». Sorrido gentile, per quel poco che mi è concesso. Sono passati tre giorni da quando mi hanno portato al pronto soccorso e, finalmente, sono stato dimesso. Mi hanno ricucito il labbro, controllato che non avessi una commozione cerebrale, coste incrinate e quant'altro.

Vorrei direi di essere come nuovo, ma sono ancora dolorante, però posso almeno essere fiero di essere tutto intero.

Il primo pensiero, una volta firmate le dimissioni, è stato quello di accendermi una sigaretta liberatoria, ma la verità è che ho buttato l'intero pacchetto nel primo cestino a disposizione.

La decisione che ho preso è la seguente: basta cose tossiche, che fanno male.

È così che ho detto addio alla nicotina.

Ed è così che farò con Elle.

So che da quando sono stato ricoverato è stata carina e dolce, ma non mi basta. Il muro contro cui sono andato a sbattere troppo volte è indistruttibile, sono stufo di combattere una causa persa.

Quindi, eccomi qui, è ufficiale: getto la spugna.

Voglio godermi il resto della mia permanenza a casa, prima di partire, a cuor leggero.

Non sarà facile rinunciare a Elle. Sarà doloroso, ci saranno giorni in cui il mio umore ne risentirà, ma è inutile cercare di cambiare la realtà. E la verità è che non mi ama e non lo farà mai.

Ho provato ad aprirle gli occhi, a farla aprire ai sentimenti, ma ho solo cercato di vivere in un'illusione che mi sono creato, alimentata dai comportamenti nei miei confronti.

È giunto il momento di dire basta.

Mi passo una mano tra i capelli e mi accorgo di avere ancora la chiave al polso.

Ecco, la prima cosa che farò quando la vedrò sarà restituirle il braccialetto, un modo per chiudere il cerchio.

Ora sono io che devo chiudere il mio cuore.

*

Arrivo davanti alla soglia del mio appartamento nel silenzio generale: non ho avvisato nessuno della dimissione, altrimenti avrebbero mobilitato anche i caschi blu delle Nazioni Unite per il comitato di benvenuto, nemmeno fossi reduce da qualcosa di grave.

Mi viene un brivido al solo pensiero di ritrovarli tutti attorno a me, preoccupati e iperattivi, nel tentativo di darmi più attenzioni possibili. Adoro il mio gruppo di amici, ma sono in grado di cavarmela da solo e non ho voglia di avere gente attorno, non sono dell'umore.

Giro le chiavi nella toppa e, con sollievo, appuro che la casa è vuota dopo essermi chiuso la porta alle spalle.

Inspiro la pace di cui avevo bisogno, grato che gli altri siano impegnati con i rispettivi lavori.

Poso il borsone sul pavimento e vado in cucina con il desiderio di una bottiglia d'acqua ghiacciata, ma qualcosa si mette fra me e ciò che voglio.

«Sei qui». Perdo dieci anni di vita. Se la giornata continua così, in ospedale ci torno per un attacco di cuore.

«Sì?!» rispondo incerto. È Elle, la riconoscerei dal modo di respirare, ma non la vedo.

«Sono qui». Alza un braccio per segnalarmi la sua posizione, mentre si mette a sedere sul divano.

La guardo stranito, è l'ultima persona che mi sarei aspettato di vedere, soprattutto nel mio appartamento.

«Come facevi a sapere che mi avresti trovato a casa?»

(Im)perfetta per meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora