39. Guantánamo

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È domenica mattina e sono stanco morto. Ho dormito poco a causa dell'euforia generale della sera precedente, ma devo ammettere che Elle ha dato il suo personalissimo contributo, una volta arrivati a casa.

E, dopo il sesso, le ho chiesto di passare la giornata con me, e lei ha acconsentito.

Mi piace quanto parla dopo aver fatto l'amore, mi fa capire quanto le sue difese si azzerino, amo il mondo che mi mostra in quei momenti. Anche se sono un po' ubriaco.

È una bella giornata, ma non indosso gli occhiali da sole per quello. Un po' fanno parte del mio kit per l'invisibilità, un po' impediscono al mondo di domandarsi se sia pronto per il ruolo di zombie.

Ho dato a Elle un orario di partenza fasullo, con il ritrovo mezz'ora prima rispetto a quando sarei voluto partire in realtà e ho fatto bene, perché il suo quarto d'ora accademico di ritardo ha un proprio quarto d'ora accademico da rispettare.

Sono nell'auto di Dan – che mi ha gentilmente prestato per l'occasione – con il motore già acceso, mentre aspetto che sia pronta per andare. Avere la macchina già pronta all'azione, nemmeno se fossi James Bond, mi aiuta a pensare di avere un minimo di controllo sulla situazione, anche se in realtà non è così.

So che appena capirà la destinazione sarò un uomo morto, motivo per cui è meglio che io sia pronto a partire non appena mette piede nell'abitacolo, di modo che si accorga il più tardi possibile del mio piano.

La vedo uscire dal portone della palazzina con un abito delizioso, che mi fa venire voglia di stravolgere i miei piani, tornare in casa e non uscire fino a che uno di noi due non ha un impegno che lo riporti alla normalità, tipo un arresto cardiaco, ma tengo troppo a questa giornata perché io ci rinunci.

Fosse l'ultima cosa che faccio.

E so che sarà davvero così, conoscendo la mia ragazza.

«Come vado? Va bene per dove andremo?» Si allaccia la cintura di sicurezza mentre si sistema il vestito. «A proposito, ora puoi dirmi dove andiamo?»

Rido per l'assurdità della situazione. Di solito è lei ad avere il controllo e io che la seguo senza obiettare – non apertamente, almeno – e invece i ruoli si sono invertiti.

Si tortura una pellicina sul labbro inferiore mentre aspetta una risposta e il gesto mi distrae abbastanza, tanto che non so nemmeno io cosa dovrei dirle di preciso.

«Sei magnifica e vai benissimo così». Indossa un abito lilla semplice, ma che le sta d'incanto. La guardo e mi soffermo sull'orlo della gonna, che vorrei alzare un po', ma so che manderebbe all'aria tutti i buoni propositi della giornata e non posso permetterlo. «Ma no, ancora non puoi sapere dove andiamo. Prometto che tra poco lo scoprirai».

Signore, assistimi. Anzi no, donale la pazienza e la forza del perdono, se no non ho mezza possibilità di uscirne vivo.

D'istinto sollevo la mano e con il pollice le accarezzo piano le labbra. «Non torturartele, ti farai del male».

La vedo arrossire al mio tocco e mi riempie di soddisfazione vedere l'effetto che le faccio, e che non tenta nemmeno di nasconderlo.

Smette di giocare con il labbro dopo avermi ringraziato, poi rilassa le spalle e io sorrido, sereno.

«Ciao». La saluto, dato che abbiamo saltato i convenevoli, ma sono amante delle coccole camuffate da piccoli gesti.

«Ciao» risponde solare, con un sorriso che imprime sul mio.

Le poso una mano sul collo e la avvicino a me. Sento i battiti sotto al mio palmo aumentare precipitosamente, una risposta involontaria del suo corpo che mi infonde coraggio per questa giornata, so di fare la cosa giusta.

(Im)perfetta per meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora