34. Ancora di salvezza

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Fisso lo schermo del cellulare, dubbioso. Vorrei fare denuncia per la scomparsa di una persona, ma so che se chiamassi la polizia per segnalare la sparizione della mia vicina di casa – con cui ho avuto una relazione fisica – che vive dall'altra parte del corridoio, mi prenderebbero per pazzo.

Lo so, un tantino esagerato, me ne rendo conto, ma è passata una settimana dalla nostra conversazione ed Elle è evaporata. Puff, sparita, nemmeno fosse un unicorno in libertà. O una gioia.

Mi piacerebbe quantificare l'assenza in ore, ma dopo le settantadue, diventa uno sforzo troppo grande che mi spossa per giorni interi. Quindi preferisco evitare.

So che è solo una settimana, ma sono i sette giorni più lunghi della mia vita, potrei giurarlo.

Ed è un tempo che non è servito a nulla, è solo andato sprecato.

Anche se, devo ammetterlo, al momento sono l'unico ad avere le idee chiare, se le serve spazio lo avrà. Io, però, continuo a pensare che ogni istante passato distante da Elle è tempo perso.

Devo solo aspettare per capire se anche per lei è così, o se invece non sono corrisposto, cosa a cui ormai sono tristemente abituato.

La sua assenza, non lo nego, è pesata quanto un macigno, si è rivelata un vuoto incolmabile. Mi sono reso conto che lei è una parte indispensabile della mia vita, l'unica che ora manca.

Io la amo, non ho bisogno di un solo minuto per pensarci o mettere in discussione la cosa, perché so che la parola amore è riduttiva per quello che provo.

Mentre mi perdo in questi pensieri, di solito rivolti al mio soffitto, il vero grande confidente di riflessioni così profonde, cerco la camicia azzurra che ho sparso da qualche parte nella mia stanza. Domani devo incontrare Francine e i produttori di Legacy per definire l'ultima parte delle riprese e, soprattutto, della promozione finale, perché alcune postille del contratto mi stanno un po' strette.

Fatto sta che quella dannata camicia non si trova da nessuna parte, nemmeno nel cesto delle cose da lavare, nell'ammasso indistinto dei vestiti da stirare e, soprattutto nel mio armadio moderno, conosciuto ai più come sedia su cui impilare indumenti a cazzo, dove appoggio quelli usati ma non ancora pronti per un giro di lavatrice.

Mi piaceva quella camicia, mi faceva due occhi da paura. Insomma, so di avere un bel culo, ma non posso far leva sempre su quello. Non sarebbe giusto per gli altri, non se voglio fingere di lasciare loro una scelta.

Ma, se non la trovo, sarò costretto a presentarmi all'incontro con un paio di jeans e a torso nudo. Certo, potrei pescare un'altra camicia dall'armadio, ma la cattività in cui mi sono chiuso da quando non vedo Elle mi porta a essere un po' melodrammatico.

«Hai visto la mia camicia?» domando a Dan, seduto in soggiorno a leggere un libro. Presumo sia quello da cui è tratto la pièce teatrale di cui sarà protagonista.

Stacca lo sguardo dal libro, curioso. «Quale? Quella azzurra?»

«Sì, quella».

«Oh». I suoi occhi si fanno luminosi, mentre un sorriso malizioso si distende appena sulle labbra. Porta un indice al mento, mentre ci pensa qualche secondo. «Mi pare ce l'avesse Elle con sé quando ti ha portato le cose in ospedale».

Alzo gli occhi al cielo e accompagno il tutto con una smorfia schifata. Ho già capito che fine possa aver fatto la mia camicia preferita: sminuzzata in pezzi grandi come coriandoli. Buon carnevale a tutti, a spese mie.

«Vado a vedere cosa ne è rimasto» replico, poco convinto.

Daniel, però, mi mostra un sorriso diabolico. «Per me poco». Ma è come se parlasse d'altro e non della camicia. «Vai e riprenditela».

(Im)perfetta per meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora