35. Allenamento

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"Ti va di seguire un po' i miei allenamenti? Almeno vedi cosa faccio"

Quando ho ricevuto questo messaggio ho fatto i salti di gioia. Non solo perché, dopo circa una settimana da quando Elle ha detto di amarmi le cose filano lisce, ma soprattutto perché questo è il suo modo di dimostrarmelo. Vuole che conosca il suo mondo, mi rende partecipe.

La mia risposta? Semplice, le ho scritto di mandarmi l'indirizzo del palazzetto sportivo, per poi presentarmi al volo.

Preferisco sorvolare sul fatto che il mio ritardo è dovuto al quarto d'ora che ho perso per girare attorno alla struttura, perché sono stato incapace di capire dove fosse l'entrata, per poi scoprire che era a una ventina di metri da dove Fred mi ha scaricato.

Se non si fosse capito, il mio senso dell'orientamento è alquanto discutibile.

La mia lamentela principale è che quel messaggio, all'apparenza innocente, si è rivelato un tradimento.

Ho fatto di tutto per sedermi sulle tribune, sul lato più lungo del campo, in assoluto silenzio, ma le bambine che allena Elle devono essere delle figlie del demonio, degne allieve della loro coach, perché dopo nemmeno cinque minuti una bambina si è messa a urlare in modo raccapricciante, e ora ho quasi una ventina di paia d'occhi che mi fissano terrorizzate.

«Un mostro!» Indica nella mia direzione.

Ok, capisco di non poter essere proprio il tipo di tutte, soprattutto di donnine alte quanto un marciapiede a voler essere ottimista, ma questo ferisce il mio orgoglio. Cioè, non sono così cesso, dai.

Mi guardo alle spalle, speranzoso che dietro di me ci sia un serial killer con un coltello da cucina sguainato e sporco di sangue, ma le mie aspettative si infrangono con la realtà quando mi accorgo di essere l'unico presente nel palazzetto.

Poi immagino che, essendo così pestifere, cioè, piccole, si riferiscano al mio personaggio nei film di Legacy, che per un breve periodo del secondo film è rimasto vittima di un maleficio e aveva l'aspetto di un uomo lupo, con lunghe zanne ben in vista.

Elle mi guarda e se la ride, divertita dal mio sconforto.

«È il principe Hywell». La sua vicina le dà una gomitata e la riprende. Quella bambina da grande farà successo, me lo sento.

Ormai nell'occhio del ciclone, racimolo il coraggio e vado verso la panchina.

«No, bambine, non è né un mostro né il principe Hywell». Posso sia darle ragione che darle torto. È fantastico essere me, certe volte. «È Sebastian, il mio vicino di casa. Recita, ma non è un mostro. Garantisco io». Mi regala un sorriso che illumina la stanza, o forse soltanto me, ma è sufficiente per scaldarmi dentro.

«Forza bambine, prima vi ho spiegato l'esercizio, ora provate a fare il bagher e a colpire il muro dalla linea del campo».

Il gruppo annuisce, ma non si muove di un millimetro, come ipnotizzato dalla mia presenza. Elle è costretta a ricorrere al fischietto. «Se entro dieci secondi non iniziate l'esercizio, a fine allenamento non vi faccio fare la partita e correte per tutto il tempo».

Le bambine si tramutano in schegge senza controllo, ognuna pronta a correre davanti al muro con il proprio pallone. Questo aspetto autoritario di Elle mi eccita, ma non posso ammetterlo davanti a umani di dieci anni, risulterebbe inquietante.

«Da quanto sei qui?» Domanda dopo aver controllato che tutte siano al lavoro.

«Una decina di minuti». Quasi urlo, a causa del trambusto prodotto dai palloni e dalle urla concitate delle bambine. «Ma non avrei voluto disturbarti».

(Im)perfetta per meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora