41. Questione di tempo

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Guardo la mia camera stranito. Non è l'effetto "bomba scoppiata" a preoccuparmi, ma quello che implica. I bagagli sono a buon punto, anche se non si direbbe, visto come ho riposto certi vestiti, ma il fatto è che è arrivato il momento. È venerdì pomeriggio e tra dodici ore salirò su un aereo.

Ho cercato di non pensare a come mi sento, a come affronterò il distacco da Elle, ho provato a rallentare il tempo e a godermi quello passato insieme, ma ho fallito miseramente in tutto.

Sto da schifo, so che la mia ragazza mi mancherà come l'aria e ogni momento, seppur abbiamo provato a godercelo, è come se ci fosse stato rubato contro la nostra volontà. Ci è sfuggito dalle mani come granelli di sabbia al vento, e ora vediamo i resti scorrere impietosi da un bulbo all'altro di una clessidra con una facilità che ci attanaglia la gola e fa mancare il respiro.

Ho provato a essere forte per entrambi, a far finta che tutto andasse bene, ma ho visto la tristezza permeare gli occhi di Elle ogni singolo istante, anche se ha provato a nasconderla come io ho fatto con lei. Forse come attore mi sottovaluto, perché non penso di averla ingannata con la mia recita.

Sospiro sulla felpa che mi sono preparato per il viaggio.

La verità è che ci sto mettendo più del previsto a fare le valigie perché finire vorrebbe dire rendere tutto reale, e non sono pronto.

Guardo la chitarra nella sua custodia e accenno un sorriso. Nella mente riaffiorano tutte le volte in cui mi sono seduto dietro Elle per aiutarla, per vedere quanto si è sudata e guadagnata ogni piccolo miglioramento.

Per quanto sia la mia chitarra preferita voglio lasciarla a lei, un incentivo a non smettere mai di crederci e di provarci, quasi fosse una metafora per noi e non solo per la musica. Nel Wyoming, nella casa che ho in affitto durante le riprese, ne ho altre, anche se non ci sono così affezionato come a questa.

Finisco di preparare le cose per la partenza con approssimazione, tanto ho tutto quello che mi occorre anche in America, dove mi aspettano tutti i vestiti degli sponsor con cui ho un contratto. Ho abiti per almeno dieci vite e sette corpi da vestire in contemporanea, anche se quelli che porto con me sono quelli in cui mi sento me stesso.

Una volta sistemato i miei averi in un paio trolley e beauty case, prendo la custodia con la chitarra annessa e mi avvio sul tetto. Con un po' di malinconia fisso lo spazio dove c'era la piscina e ora è tornato il solito tappeto, ma non mi faccio distrarre. Lascio lo strumento nella cassapanca, quasi sgombra, e la lascio lì, con il desiderio Elle che mi trovi quando avrà più bisogno di me, perché voglio esserci sempre per lei e in ogni forma possibile.

Una volta sistemato il tutto al meglio guardo l'orologio e mi accorgo che Elle è in ritardo per il nostro appuntamento e, quindi, anche io. Però mi sento giustificato, dato che mi sono fatto prendere da questo trasloco dalla mia vita di tutti i giorni, mentre per lei è strano, dato che non è al lavoro ed è una persona puntuale.

Forse si è addormentata.

Così, nello scendere, al posto di tornare a casa mi ritrovo davanti alla porta dell'appartamento delle ragazze, che trovo aperta. Ma, a sorpresa, la stanza di Elle è chiusa. E di solito lo è quando dentro ci sono io e abbiamo bisogno di riservatezza. Qualcosa non va.

Busso, ma non aspetto risposta. La apro con più delicatezza di quella che mi appartiene in realtà, e scorgo Elle sul letto in posizione fetale, intenta a versare tutte le sue lacrime.

Appena si accorge della mia presenza si mette a sedere ma, al posto di smettere di piangere, inizia a singhiozzare più forte, come se io fossi il motivo del suo pianto.

Faccio un passo verso di lei, ma con la mano mi invita a restare dove sono.

«Ehi, stai bene?» Cerco di accarezzarla con le parole, dato che non mi permette di andare oltre. Sento il bisogno di coccolarla in qualsiasi modo, di curare ogni tipo di ferita che si porta addosso e dentro.

(Im)perfetta per meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora