12. Senza colori

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“È arrivato l’inverno. Ho tolto il volume alle mie emozioni, il sangue mi pulsa sotto la pelle come se volesse nascondersi e i giorni finiscono tutti allo stesso modo, chiusi dentro un cassetto, con un odore di cose rotte o perdute.”   - Fabrizio Caramagna

EREN

Ieri Levi mi aveva mostrato un’altra parte di sé, permettendomi di vedere le ferite, fisiche e mentali, nascoste da quelle bende. Sapere che era costretto a farsi del male per stare meglio mi distruggeva, ma non potevo fare niente, per adesso, per aiutarlo. Finché suo padre avesse continuato a fargli del male in questo modo, temevo che non avrebbe mai smesso di farlo.

Non era l’unica cosa che avevo capito ieri sera. La sua riluttanza nel mostrarmi il suo corpo, quello che aveva detto sul fatto che non fosse bello, mi aveva fatto riflettere su una cosa a cui non avevo mai dato importanza. Levi indossava sempre vestiti che gli cadevano un po’ larghi, per questo non avevo mai notato i muscoli che si celavano sotto di essi, indossava sempre le maniche lunghe, credevo fosse per coprire le bende, ma forse c’era qualcos’altro dietro. Non avevo mai fatto troppo caso a questo particolare, liquidandolo come il suo modo di vestire e non dandoci alcun peso, ma forse mi ero sbagliato. Iniziavo a pensare che Levi cercasse di coprire il suo corpo, perché pensava che non fosse bello, forse per inconscia paura che qualcun altro potesse fargli quello che faceva suo padre, non lo sapevo, ma avrei desiderato parlarne con lui, se anche lui avesse voluto.

Gli avevo inviato un messaggio, ieri sera, lo facevo spesso, per distrarlo da quello che succedeva a casa sua, ma non lo aveva ricevuto. La cosa mi aveva confuso un po’, ma alla fine avevo lasciato perdere. Tuttavia, questa mattina non era venuto all’università, continuava a non ricevere i miei messaggi e, quando lo chiamavo, partiva sempre la segreteria. Iniziavo a preoccuparmi. Sapendo cosa succedeva a casa sua, non potevo non pensare al peggio. Passai le lezioni della mattina in attesa di una risposta, che non arrivò. Così, dopo il pranzo, chiesi ai suoi amici se sapessero qualcosa, ma non era così, perché erano preoccupati quanto me.

“Non lo so, ma non mi piace, Levi ci ha sempre avvertiti quando stava male”, disse ansiosa Isabel.

“Lo faceva proprio per evitare di farci stare in pensiero”, aggiunse Farlan.

Volevo dire qualcosa anche io, ma i miei amici mi raggiunsero, chiedendomi perché non li avessi seguiti in aula per la prossima lezione. L’ultima cosa che mi serviva era che iniziassero a fare domande su cosa stesse succedendo.

In quel momento il telefono di Hanji suonò e qualcosa dentro di me mi disse che aveva a che fare con Levi, non sapevo per quale motivo, ma sentivo che era così. Mikasa stava per trascinarmi con sé, ma io rimasi immobile, cercando di sentire chi stesse parlando con Hanji.

“Cosa?”, chiese, preoccupata. “Che vuol dire? Erwin, cos’è successo?!”, il suo tono di voce si era alzato e io non potei fare a meno di pensare che se Erwin, il poliziotto, li chiamava, esattamente il giorno in cui Levi non si presentava all’università, poteva voler dire solo qualcosa di brutto.

“Erwin? Perché ti ha chiamato? Ha a che fare con Levi?”, cominciò a chiedere Isabel.

“Che vuol dire ‘se n’è andato’?”, chiese ancora Hanji, sempre più in ansia. Andato? In che senso?

Levi se n’è andato? Dove? È fuggito da suo padre? Ma aveva detto che suo padre minacciava di fare del male ai suoi amici se lo avesse fatto. Mentre le domande mi affollavano la mente, vidi il volto di Hanji divenire più cupo. “Cosa?”, il suo tono di voce iniziava a diventare da preoccupato a scoraggiato. Quando riattaccò il suo sguardo era triste come non l’avevo mai vista.

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