“O, vento, se giunge l’Inverno, può la Primavera essere lontana?” - Percy Bysshe Shelley
LEVI
Non mi ci volle molto per capire a chi mio padre mi avesse venduto. Non sapevo quale fosse il nome giusto da assegnargli, ma immaginavo che le parole ‘sadico e ‘sessuale’ ne facessero parte. La mattina successiva al giorno in cui mi aveva rinchiuso nel suo scantinato, si premurò di venirmi a trovare. Come vorrei che non l’avesse fatto.
Mi promise che ci saremmo divertiti insieme. Ma io, in tutto il tempo che ho passato con lui, ho solo urlato. E pianto, almeno all’inizio.
Quella mattina iniziò toccandomi e io mi divincolai, cercando di muovere le gambe per prenderlo a calci, per allontanarlo da me. Mi picchiava, ma a questo c’ero abituato. Mi ha violentato, speravo di essere abituato anche a questo, ma era peggio di quando lo faceva mio padre. Non immaginavo che potesse esistere una sensazione peggiore, ma era così. Oh, se lo era. Quest’uomo era più viscido e più rude, se era possibile. Cercavo di trattenere i versi di dolore che minacciavano di uscire dalla mia bocca, ma ci fu un momento in cui non potei.
Erano passati giorni, credo, non riuscivo a tenere conto dello scorrere del tempo senza una finestra da cui vedere il sole. Questo tempo lo avevo passato nelle mani di quello schifoso pervertito, ma le cose che mi aveva fatto erano… tollerabili. Potevo sopportarlo. Ma quel giorno, sembrava intenzionato a divertirsi di più. Mi disse che fino ad adesso aveva solo testato la mia resistenza, per vedere quanto potevo reggere prima di rompermi. Il termine mi fece rabbrividire.
E quando sentii qualcosa di freddo e appuntito premere in quel punto del mio corpo, mi irrigidii, tentando di allontanarmi da quel contatto. Ma lui mi teneva fermo con la mano che stringeva le mie catene, mentre con l’altra impugnava quello che immaginai fosse un coltello.
Quando lo sentii entrare nel mio corpo gridai. Gridai con tutto il fiato che avevo in gola. Piansi, fino a farmi mancare l’aria. Per minuti, forse ore, non lo sapevo. E nel frattempo lui rideva, compiaciuto. Le sue mani carezzavano il mio corpo con possessività, come se fossi davvero suo in questo momento.
Ed era così, me lo fece capire abbondantemente nei giorni, o mesi, successivi. Il mio corpo veniva usato come un giocattolo, per ogni orrenda pratica che esercitava su di me. Ero questo per lui. E mi aveva spiegato più volte che lui rompeva spesso i suoi giocattoli. Spesso sentivo il bisogno di prendere il vecchio rasoio di mio padre per farmi del male, perché era quello il modo in cui riprendevo possesso del mio corpo quando dovevo convivere con le cose che lui mi faceva. Ma non potevo. Non mi era permesso neanche questo, adesso. Il mio corpo non era più mio, ormai.
Però non smettevo di ribellarmi, in ogni momento in cui riuscivo a muovermi, mi dimenavo, scalciavo e lo colpivo, pur di fargli capire che non mi sarei arreso. Perché sapevo che qualcuno mi stava cercando, che mi avrebbero trovato. Perciò avrei continuato a lottare finché non fossero venuti a prendermi.
Erwin… non hai smesso di cercarmi, vero? Mi troverai, lo so.
E il mio Eren, lui sta bene? Mio padre non ha fatto del male anche a lui, vero? O ai miei amici… stanno tutti bene?
Hanji, ho bisogno di sentire la tua voce.
E voglio vedere Isabel sorridere, mentre Farlan mi annoia col suo modo maledettamente saccente di parlare.
All’inizio sognavo spesso i miei amici, soprattutto Eren. E, ogni volta che il rumore della porta che si apriva mi svegliava, mi sentivo morire dentro. Ma quei sogni erano tutto ciò che mi teneva ancorato alla mia vita.
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Winter White
Fanfiction"Si dice che in un paese lontano il freddo sia così intenso che le parole si congelano non appena vengono pronunciate, e dopo qualche tempo si sgelano e diventano udibili, come se le parole pronunciate in inverno rimanessero inascoltate fino all'est...