“Prova a chiedere al tuo cuore: di che colore è la tua vita?” - Michał Szpak
[un anno e mezzo dopo]
EREN
Levi aveva la schiena appoggiata al mio petto, mentre io gli cingevo la vita con le braccia, steso sul divano della nostra casa. Avevamo preso un appartamento insieme, l’anno scorso, nello stato in cui vivevano i miei genitori, a diverse ore di distanza dalla mia vecchia casa, ma comunque molto più vicino che in un altro stato. Era stato Levi a proporlo, dicendomi che gli piaceva il clima, lì. Lui aveva trovato un lavoro come grafico in un’agenzia pubblicitaria, l’attività gli piaceva ed era felice di essere riuscito ad unire la sua passione per il disegno alla sua laurea in economia. Io, invece, avevo ottenuto un posto come insegnante alle superiori, nella stessa scuola in cui, l’anno scorso, avevo lavorato come precario. I nostri posti di lavoro, fortunatamente, non erano lontani. Levi aveva cercato un’azienda vicina alla scuola in cui ero stato assunto l’anno scorso e, quando avevo avuto la fortuna di ricevere l’offerta di una cattedra qui, non avevo atteso un secondo ad accettare. Insegnare mi piaceva, non l’avrei mai immaginato, ma era così. Eravamo felici, andava tutto molto bene. Negli ultimi anni avevo anche iniziato a scrivere. Non avevo mai scritto qualcosa di lungo, per adesso erano tutti racconti brevi, ma a Levi piacevano molto. Mi diceva che avrei dovuto pensare a fare pubblicare i miei lavori, ma non era il mio scopo, lo facevo per svago, più che altro.
C’era una cosa, però, che avrei pubblicato, se l’avessi scritta… avevo questa idea da un bel po’, ormai, non ne avevo mai parlato con Levi perché non volevo spingerlo a raccontarmi qualcosa che lo faceva soffrire. Però, adesso stava bene, era passato del tempo, quindi, forse, era il momento adatto…
“Levi… mi chiedevo una cosa”, dissi, per attirare la sua attenzione.
“Cosa?”, rispose lui, alzando lo sguardo verso di me, ma restando comodamente sdraiato.
“Ecco vorrei… sono passati alcuni anni, ormai, e mi chiedevo se fossi pronto a… parlare di quello che ti è successo”, iniziai. “Tempo fa, mi è venuta in mente un’idea.”
Lui si voltò verso di me, per guardarmi meglio.
“Ecco, all’inizio, quei poliziotti hanno completamente ignorato le tue denunce…”
“Erano corrotti”, mi interruppe lui, “ma poi quei federali hanno indagato e mi hanno trovato”.
“Sì, ma… quello che voglio dire è che la tua situazione è rimasta inascoltata per tanto tempo… e vorrei fare qualcosa per far sì che non sia più così”, lui storse la testa, come faceva sempre quando qualcosa lo incuriosiva.
“Hai visto quelle cose che scrivo, da qualche anno…”
““Cose”? Eren, sono delle storie dannatamente belle e ancora non ho capito perché non abbia chiesto di farle pubblicare”, mi corresse lui.
“Insomma”, ripresi io, cercando di non spostare l’attenzione da quello che volevo dire. “Vorrei… provare a scrivere la tua storia, con il tuo permesso… e il tuo aiuto”, spiegai.
Lo vidi pensarci su un attimo, insicuro. “Perché?”, chiese.
“Perché ci sono parole e storie che vogliono e devono essere ascoltate”, esposi, serio. “E la tua è una di queste. Perché per tanto tempo, quando avevi più bisogno di aiuto, questo ti è stato negato. E anche se adesso non ne hai più bisogno, vorrei comunque che la tua storia fosse di esempio, anche per mostrare come, nonostante tutto quello che ti è accaduto, tu sia guarito e viva la tua vita appieno”, aggiunsi. “Ma se non sei pronto… o non vuoi per me va–”
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Winter White
أدب الهواة"Si dice che in un paese lontano il freddo sia così intenso che le parole si congelano non appena vengono pronunciate, e dopo qualche tempo si sgelano e diventano udibili, come se le parole pronunciate in inverno rimanessero inascoltate fino all'est...