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È lunedì mattina. Sto studiando quando finalmente sento la porta di casa che si apre e mia sorella che mi chiama: <Aiutami ad apparecchiare!> urla. Chiudo il pesante libro che mi sta davanti, poggiato sulla scrivania, tirando un sospiro di sollievo, per poi sollevarmi, stiracchiarmi e raggiungere mia sorella. Ma non appena mi fermo davanti alla porta della cucina, con lei, sento una voce maschile. <È venuto anche Achille Lauro, ha detto che passava di qui e pensava di salutarti> dice, fin troppo entusiasta dato che è uno dei suoi cantanti preferiti, mentre il ragazzo arrossisce: indossa un maglione bianco a vita alta molto semplice, ha dei jeans neri strappati all'altezza delle ginocchia e degli anfibi neri. <Puoi anche chiamarmi Lauro, anzi, lo preferisco> dice. Io rimango a fissare quello strano quadretto imbambolata, anche un po' infastidita: nessun altro è mai stato a casa mia dopo Giacomo. Ma decido, anche dopo l'episodio di sabato, di scacciare via quel pensiero dalla mente, quindi tiro fuori il mio sorriso migliore e apparecchio la tavola. <Alla fine mamma e papà non tornano> mi avvisa, mentre prepara il pentolino per la pasta. Così apparecchio solo per noi tre, poi mi siedo accanto al mio ospite inaspettato.
<Come stai?> chiede quasi sussurrando. Sicuramente si riferisce a sabato: dopo essere andata via, mi son fatta almeno una decina di chilometri in auto piangendo, anche un po' alterata dall'alcol. Senza nemmeno sapere come, avevo rintracciato il suo numero, chiamando disperatamente. Mi aveva riaccompagnata a casa, poi ero scomparsa: non lo avevo neanche ringraziato. Lo temevo: sentivo che volevo stargli vicino, conoscerlo, cercare di fare a pezzi quella maschera da macho misterioso che si portava tutto il giorno tutti i giorni, ma era per me impossibile: più mi veniva voglia di farlo, più fuggivo via, terrorizzata: anche se lo conoscevo pochissimo, mi sentivo attratta da lui come da una calamita. Ero stata delusa troppe volte e il mio carattere era diventato difficile, anche troppo. <Bene> rispondo, annuendo. <Tu?> chiedo. Lui annuisce. <Grazie per sabato> mormoro ancora, istintivamente poggiandogli una mia mano sulla sua, inevitabilmente osservandogliela: ha dei tatuaggi sul dorso e nelle dita. Rivolge brevemente lo sguardo al mio gesto, poi lo volge a me. <Ma va, tranquilla. Sappi che ci sono> risponde, sorridendo di più e stringendomi delicatamente la mano. Ci stacchiamo appena mia sorella chiede aiuto.

Ti rinnamorerai a marzo./ Achille Lauro.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora