Part 1

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Lo sguardo puntato in avanti, continuo a correre a perdi fiato, con le scarpette che sfiorano il pavimento giusto il tempo di darmi lo slancio per il passo successivo, quasi sospese a mezz'aria. L'aula 5 è al secondo piano, penso, continuo a pensare, per non concentrarmi sulle grida di chi viene allontanato dal mio zaino appeso ad una sola spalla, che fende l'aria intorno a me, oscillando come un pendolo e bilanciando la mia corsa scomposta. Lo lancio di lato, per girare e darmi una spinta ulteriore e con il fiato in gola, i polmoni che bruciano come l'inferno e la milza che pulsa, facendomi inclinare leggermente su un fianco, inizio a salire l'enorme scalinata in pietra e quando, ormai al piano superiore, intravedo la mia meta, rallento leggermente, prendendo un respiro profondissimo e piegandomi sulle ginocchia per calmarmi.

Non posso certo entrare come un'asmatica in procinto di esalare l'ultimo respiro.

Così, infilando una ciocca di capelli ricci dietro l'orecchio, faccio il mio ingresso nell'aula gremita di gente. Scivolo leggera sui gradini, cercando di fare il meno rumore possibile, individuando subito un posto libero in seconda fila.

-Ha iniziato da molto?

-Da un'oretta più o meno. Tu che numero sei, la sesta giusto? Dovresti essere la prossima.

Scarlett mi osserva con pietà, sistemandomi leggermente il colletto della camicia sgualcita che indosso. Se solo sapesse che a stento ho avuto il tempo di levarmi di dosso il grembiule con la scritta Cafè D'Orsay e la gonnellina della divisa, sicuramente stirerebbe le labbra in una smorfia, rimproverandomi perché prima degli esami si dovrebbe sempre essere rilassati, e possibilmente reduci da ore di estremo relax: tutte cose che non posso permettermi.

-Ferma - scaccio la sua mano con un colpo, iniziando a disporre sul tavolo i pochissimi appunti di cui dispongo: quattro fogli, scritti in una calligrafia pessima che a stento riesco ad interpretare. È vero, forse comprare degli appunti scritti a mano, senza accettarmi di comprenderne la grafia è stata una cazzata. Ma a mia discolpa posso dire che è già tanto che non abbia versato un frappè al cioccolato addosso al ragazzo che me li ha venduti, quando è venuto a portarmeli a lavoro.

-Come è la prof? Stronza? Fa domande difficili?

-Mah, ti dirò... - mi blocca con un gesto rapido la mano che continua a sfogliare senza criterio le pagine - il problema in realtà non è lei... ma l'assistente.

Il mio sguardo si spinge fino alla cattedra. Uno squadrone di tre professori occupa il lato lungo del tavolo: una signora con un caschetto corto e nero, una moderna Edna degli Incredibili, fissa con occhi spenti l'imputato, seduto tremante davanti a lei; l'altra, con un cespuglio di capelli rossi mal tinti annota tutto furiosamente su un taccuino (probabilmente nasce come detective, ma si è persa strada facendo), e infine un uomo baffuto sulla cinquantina sembra completamente disinteressato.
Mi sporgo, ma senza successo: dell'assistente non vedo che un ciuffo di capelli biondo cenere.

Sento l'ansia montare su piano piano, come la schiuma di un cappuccino fumante, densa e pannosa, mentre risale la mia gola, impedendomi di respirare. Ho un'unica certezza: non ce la farò mai. Non con questi pochi appunti. Tentarlo è un suicidio, e credere di riuscire a passarlo una bugia. Non so neanche perché sono qui. Forse per giustificarmi con la mia coscienza, per poter dire: Ecco vedi? Io ci ho davvero provato, solo per essermi materialmente presentata qui.

Intorno a me l'aula è piena, ma nessuno sembra disperato come me: quest'esame è conosciuto come uno dei più semplici da superare dell'intero piano di studi.

Sto per alzarmi, ma la mano gelida di Scar afferra un lembo di pelle scoperto sul polso, tirandomi un leggero pizzico che mi mette i brividi.

-Dove vai? Ora tocca a te.

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