Part 4

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Il modo in cui Felix riesce a modulare la sua voce è impressionante: tanto era calda e seducente quella esibita qualche settimana fa quando si è presentato sulla porta di casa, quanto lamentosa e acuta è questa che sfoggia ora, nel tono più melenso e commovente che possa mettere su.

Uno dei suoi coinquilini ha la febbre parecchio alta, ed è già svenuto due volte: riesco a capire solo questo, perché per i restanti dieci minuti di conversazione in cui mi sta tenendo prigioniera non fa altro che scusarsi.

-Felix - blocco questo flusso di coscienza senza fine né logica - Ti ho già detto che non importa, ma che avresti potuto avvisarmi prima, perché io ho preso un altro permesso qui a lavoro, e il mio capo non è propriamente una persona tranquilla.

Finisco la frase in un sussurro, allontanandomi dall'ingresso del cafè su cui sono rimasta ferma per parlare con lui. Sempre col telefono all'orecchio, mi avvio verso il parchetto verde e soleggiato che affianca la caffetteria: la giornata è splendida, con un sole caldissimo che mi spinge ad abbandonare la giacca di jeans sulla panchina illuminata al mio fianco, sedendomici sopra e accavallando le gambe in un gesto spontaneo.

Infatti, con un pantalone a vita bassa ed un top uscito direttamente da un film per teenager anni 2000, quel pomeriggio di due settimane fa alla mia porta non si era presentato il bel tenebroso che la mia coinquilina aspettava con ansia (si era addirittura stirata i capelli e truccata per l'occasione). Al contrario, un ragazzo magro e dall'importante ciuffo biondo si era fatto strada in casa mia, con una pila di libri più alti di lui: Felix si era scusato un'infinità di volte ma il suo coinquilino Hyunjin non aveva potuto prendere parte alle lezioni quel giorno. E a quanto pare anche le tre lezioni successive. Onestamente? La compagnia di Felix è tremendamente piacevole e se paragonato alle strabilianti abilità oratorie di Hyunjin che Scarlett aveva promesso, era decisamente in grado di reggere il confronto.

In ogni caso, sto per chiudere la chiamata, quando un suo urlo acutissimo mi spinge ad allontanare lo smartphone dall'orecchio.

-Ho un'idea - tuona, ora con voce tenebrosa: questo ragazzo mi mette i brividi. Il suo bipolarismo mi spaventa - Sono davanti l'orario delle lezioni di Chan Hyung. Aspe', che controllo un secondo... Si! - strilla, ora col timbro pulito e limpido di una dodicenne - Ha quasi finito. Dieci minuti ed è lì da te.

-No aspetta! - lo blocco, guardando con insistenza la gonna corta, anzi cortissima della mia divisa, col bordo arricciato che cerco di calare giù con le dita senza successo: eravamo d'accordo che sarebbe venuto a prendermi Felix, con la sua auto, e non un completo sconosciuto - Ma io...

-Mandami la tua posizione e ti faccio venire a prendere! - cinguetta, chiudendo la chiamata. Lo strozzo.

Ho poche certezze nella vita ma sicuramente una di queste è che odio conoscere persone nuove quando non mi sento bene con me stessa. E ora, con la divisa stropicciata, il trucco colato, i capelli ridotti ad un nido, acconciati in un uno chignon alto da diverse ore, ed un mal di testa martellante, mi sento uno schifo.

E, se possibile, il mio umore crolla irrimediabilmente come un delicatissimo castello di carte, proprio quando una Nissan Auge nero pece parcheggia subito davanti a me.

Non è possibile, mi dico.

È il sole, il fatto che sia qui ferma da quelle che paiono delle ore. Ho le allucinazioni, continuo a ripetere.

Fino a che, con un leggero ronzio, il guidatore non abbassa il finestrino dedicandomi un'occhiata interrogativa, dal retrogusto aspro di critica. Si, mi sta criticando, probabilmente, mentre lascia il suo sguardo indugiare sul mio completino abbinato, da cui rimuovo subito in uno scatto il frontino di cui mi ero dimenticata la presenza. Ma non mi muovo. Non ancora. Magari non è qui per me.

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