Part 24

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Scappiamo via, nel cuore della notte.

I nostri passi si inseguono nell'oscurità della sera, in un quartiere semi deserto, dove l'unica compagnia è il soffio del vento e i nostri respiri che si cercano sotto questi lampioni dalla luce calda.

Non so dove mi stia portando con tutta questa fretta, fatto sta che, dopo una decina di minuti passati a rincorrere le sue gambe molto più lunghe delle mie, si arresta di colpo, guardandosi intorno confuso.

Mi chiedo ancora se stia stata davvero una buona idea seguire un ubriaco nel cuore della notte, senza che nessuno sappia dove stia.

Ma poi lo guardo: i capelli, generalmente sempre ben spettinati, sono ora un ammasso di ricci senza forma. Ha delle leggere occhiaie che gli rimpiccioliscono ancora di più gli occhi, e le labbra, quelle labbra così carnose e rosee, sono state probabilmente preda di numerosi morsi da parte sua, perché gonfie con qualche pellicina che continua a torturarsi.

Lui è Chris... non mi farebbe mai del male.

Dopo qualche istante di perplessità, si volta di scatto, come se avesse finalmente ricordato. Cacciando fuori dalla tasca una piccola chiave argentata, si incammina verso l'unica porticina malandata, in legno, dell'intero isolato.

Alta poco più di me, e dall'aspetto malconcio, mi sembra di stare per entrare in una casa fantasma.

-Chris – mormoro, alle sue spalle, leggermente inquietata. La strada è completamente deserta, e non è un quartiere che conosco bene – Dove siamo, esattamente?

Il ragazzo armeggia per un po' con la serratura difettosa, incapace di aprirla.

Butto un occhio al mio smartphone: non capisco perché, ma qui c'è pochissimo campo.

L'assistente non mi risponde. Al contrario, aggiunge anche l'altra mano per esercitare ancora più forza sulla serratura. Beh, a quanto pare funziona, perché scatta con un piccolo click.

Solo allora mi dedica la sua attenzione, facendosi teatralmente di lato, per lasciarmi passare per prima.

Cerco di sbirciare all'interno, ma la luce dei lampioni è a mala pena sufficiente per farmi intravedere la sagoma di un tavolo con quattro sedie. O forse tre.

-Dai, entra – sussurra Chris – non ho intenzione di ucciderti. Voglio solo stare in un posto tranquillo per parlare. Non è questo che volevi?

Poi, con estrema delicatezza, posa una mano alla base della mia schiena.

-Devi fidarti di me, ricordi?

Mi volto a guardarlo, gli occhi probabilmente ancora lucidi per le lacrime che ho dovuto trattenere. Annego in questi occhi che mi sono sempre sembrati tanto piccoli e insignificanti, ma che ora, da così vicino, assumono un fascino tutto loro.

-Va bene – borbotto solo, incapace di reggere ancora il suo sguardo ora così intenso.

Senza aggiungere altro, muovo un passo incerta verso il buio. Un forte odore di muffa e chiuso mi aggredisce, ma per qualche ragione a me estranea l'idea mi spinge ad avanzare invece che frenarmi.

Diapositive della mia infanzia si rincorrono nella mia mente: le cantine di nonno Luis, quell'odore intenso di uva e chiuso, il pane tostato con la conserva fatta da lui. Non aspetto nemmeno che Chris accenda la luce per iniziare a tastare in giro. Un tavolo in legno, dalla superficie ispida e pungente, arresta la mia avanzata.

L'assistente, alle mie spalle, tossisce poco prima di premere l'interruttore: avevo ragione.

È una cantina.

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