Capitolo quattro

3.4K 128 4
                                    

Siamo me e te. Adesso, da sole.
Parliamo, confrontiamoci.
Da quanto tempo non lo facciamo?
Per tanto tempo ti ho guardato, ma mai osservato. Ho paura di vedere cosa gli occhi nascondono. Ho paura di me stessa.
Ho paura perché, più ti guardo, e più non mi riconosco.
Sto parlando con il mio riflesso, eppure l'immagine presente allo specchio non riesco a riconoscerla.
Vorrei vedere altro, vorrei essere altro.
Vorrei essere quella farfalla, quella tatuata sul mio collo, pronta per crescere e volare.
Ma si può volare con le ali spezzate?

"Non puoi lasciarmi, non puoi farlo"
Quanti significati diversi può avere una sola stessa frase?
Me la ripete Murat da qualche mese, quando tocco l'apice della mia sopportazione.
E adesso, a dirla, è un semi sconosciuto.
E  in quanto tale, non avrebbe nessun diritto di colpirmi così nel profondo, di aspettarsi qualcosa da me. Non ha alcun diritto di privarmi del mio sonno, di indurmi a guardare in faccia la realtà e, tacitamente, di reagire.

"Abbiamo iniziato questo percorso insieme, dobbiamo proseguire insieme"

Con una sola frase, mi ha fatto avvertite un sentimento che non provavo da tempo: l'essere lusingata.
Perché poteva benissimo andare avanti per la sua strada, lasciarmi, trovare un'altra partner che fosse anche all'altezza della sua professionalità.
Ma ha scelto me, e vuole me per un nuovo progetto insieme.
Mi ha fatto sentire indispensabile, importante, in un periodo in cui credevo di non esserlo più.
Probabilmente lui non ha la minima idea delle paranoie che ha scatenato in me. Non lo sa, non può saperlo.
È c'è una domanda che mi rimbomba in testa: perché, la persona che dice di amarmi, non mi supporta, sostiene e lusinga, come ha fatto Kerem con una sola telefonata?

Passano diversi giorni.
Giorni di tormento, di confusione, di litigi con Murat e di lunghe chiamate con Gamze.
Giorni di silenzio con Kerem.
Giorni in cui urlo, e questo urlare, inaspettatamente, mi sta facendo bene.
Sto riprendendo la mia personalità, il mio carattere.

Ma non voglio urlare, no.
Io voglio sorridere, essere felice.
Perché io sono Hande, e voglio splendere, e non appassire.

Ed è in una mattina particolarmente uggiosa che informo la mia manager che Eda Yildiz deve essere mia, ed io sua.
So che ci aiuteremo a vicenda, che diventeremo amiche, che avremo molto da imparare l'una dall'altra.
La mia manager informa subito la produttrice del progetto, fissando una data per firmare e dare finalmente il via alle riprese.
Ed io mi sento bene.
Sento che sto cominciando ad impugnare le redini della mia vita tra le mani, e per questo forse dovrei ringraziare qualcuno.

Ho il telefono tra le mani, il display riflette il numero di Kerem. Sono indecisa se telefonarlo, comunicargli la notizia personalmente.

Decido di agire come Thomas Shelby in una delle mie serie preferite, Peaky Blinders.
Quando deve prendere una decisione importante, lancia una monetina in aria.
Ed io faccio lo stesso.
Testa, lo chiamo.
Croce, non lo chiamo.

Lancio una moneta, ma nel frammento di secondo in cui questa è in aria, mi rendo conto di una cosa: io desidero chiamarlo, e non ho bisogno di alcuna prova per avere conferme, non ho bisogno che il destino decida per me.

Così, senza vedere il risultato, mi dirigo verso la finestra del soggiorno, osservando la pioggia che ogni minuto che passa diventa sempre più fitta. Schiaccio il temuto tasto verde ed attendo.

-Pronto?-

Trattengo il fiato. L'ho fatto davvero.

-Pronto? Hande?-

-Sì, sono io. Ciao Kerem-

-Ciao- mormora lui, per poi prendersi qualche secondo -sono contento di risentirti-

-Anch'io. Volevo informarti personalmente sulla mia decisione. Ho accettato di far parte del progetto- annuncio, disegnando dei cuori sulla condensa della finestra.

-Davvero?-

-Davvero-

-Quindi... quindi sarai la mia partner?- domanda, come se volesse essere assolutamente certo della mia affermazione.
Io sorrido, annuendo.

- Sì, Kerem. Abbiamo iniziato questo percorso insieme, dobbiamo proseguire insieme-

-Mi sembrano familiari queste parole-

-Ah sì?- rido al telefono, e non so perché, immagino che anche lui stia sorridendo -grazie, Kerem. Mi hai dato la spinta di cui avevo bisogno-

-Non te ne pentirai, te lo prometto. Questa serie sento che cambierà le nostre vite-

-Forse le sta già cambiando- mormoro a bassa voce.

Chiudo la chiamata poco dopo, concordando per un incontro su Zoom.

Per curiosità, mi dirigo verso il posto dove ho lanciato la monetina, e la osservo.

È uscito testa.

Bizim kaderimiz Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora