Capitolo trentatré

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Ero andato da lei con l'intenzione di scusarmi.

Non per quello che le ho detto, non me ne pento, ma per il modo in cui mi sono comportato nei suoi confronti, senza un reale motivo.

Ormai sono abituato agli sguardi di ammirazione e venerazione nei confronti di Hande, è difficile nasconderli con una donna come lei. Quel ragazzo, quell'Efekan, però, la guardava in modo diverso. Era palese che fosse interessato sentimentalmente a lei, tutto del suo corpo lo comunicava, eppure lei sembrava non accorgersene minimamente, ignorando ogni segnale.

Ammetto che il mio primo istinto è stato quello di afferrarla per i fianchi e avvicinarla a me, come Serkan Bolat probabilmente avrebbe reagito. Non è stato possibile, sia perchè formalmente io ed Hande siamo solo colleghi, sia perchè sarebbe andato contro i miei principi.

Eppure, avrei voluto urlare che quella ragazza che Efekan stava ammirando con così tanta insistenza era la mia fidanzata, la donna che mi aveva fatto perdere la testa, la ragione, colei che in qualche modo mi aveva riportato in vita. Invece ho dovuto deglutire ogni parola, ogni boccone amaro. 

Sei geloso?

Fuck Hande, sì che lo sono! Come potrei non esserlo, quando devo anche lottare per nascondere tutto ciò che sento per te? Quando la dannata paura di perderti è costantemente presente, come se tu potessi scivolarmi tra le mani senza alcun preavviso?

Così ho comprato dei fiori. Banale, sì, ma non mi sarei mai presentato alla sua porta a mani vuote.

E stavo andando da lei, volevo sorprenderla, ma alla fine, è stata lei a sorprendere me, e non in positivo. L'ho vista in macchina con quell'uomo, mentre lui le era vicino, troppo vicino, e non ho più ragionato lucidamente. Ho lasciato lo stupido mazzo di fiori sul sedile posteriore e ho acceso la macchina, andando via il più velocemente possibile.

Mi mordo violentemente le labbra, tutto pur di non permettere alle lacrime di prendere il sopravvento. Gli occhi pizzicano, mentre la mia mente non può non correre verso Hande ed Efekan nella stessa auto. 

Ciò che più mi fa riflettere, è che non sono arrabbiato, non lo sono per niente.

Avverto la suoneria del cellulare squillare insistentemente. Leggo sul display il nome di Hande, ma non rispondo. Ho paura di non avere la lucidità adeguata, e voglio evitare di dire ciò che non penso. 

Arrivo a casa dopo circa venti minuti, gettando la giacca in un punto indistinto della stanza e buttandomi sul divano, coprendomi il volto con le mani.

Perchè, perchè dannazione deve sempre far così male? Perchè sento delle spine conficcate nel petto? Lo stomaco contorcersi?

Il cellulare continua a squillare insistentemente, ma lo ignoro. 

Osservo il soffitto, per poi portarmi una mano sulla guancia. Controvoglia, è bagnata.

Impreco sottovoce, per poi avvertire qualcuno bussare violentemente alla porta. Socchiudo gli occhi, liberando un respiro pesante.

-Kerem? So che sei in casa. Per favore, apri-

Riconosco distintamente la voce di Hande, come riconosco il battito del cuore che, nella maniera più spontanea e naturale, batte al solo pensiero di essere solo con lei. Ma l'immagine di Efekan ritorna nella mia mente, impedendo ogni movimento.

-Torna a casa, Hande, per favore. Voglio restare solo- urlo per farmi sentire, ma lei bussa ancora più insistentemente.

-Kerem, apri questa cazzo di porta- la sento imprecare, ed è strano da parte sua.

Alzo gli occhi al cielo, per poi dirigermi con estrema lentezza verso la porta, aprendola.

Che diamine. Più la guardo, più i miei occhi si posano su di lei, e più la trovo incantevole.

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