Capitolo diciotto

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Non andartene. Resta.

È stato l'inizio di tutto.
Con queste parole, un muro altissimo è crollato come se fosse sabbia, annebbiando la ragione per far spazio all'impulsività.

Non puoi lasciarmi, abbiamo iniziato questo cammino insieme e dobbiamo continuarlo insieme.

Non andartene. Resta.

A distanza di mesi, la frase di uno sconosciuto che mi aveva tanto colpito al telefono, si è riconfermata, e sono sicura che lui non se ne sia nemmeno accorto.
In quel momento non gli è importato della sua immagine, della sua reputazione, del suo orgoglio. Ha accantonato tutto, purché rimanessi.
E rivedo ancora davanti a me i suoi occhi puri, in quel momento di un grigio intenso, e la voce un po' incerta di chi non sa quale reazione possano provocare le sue parole.
Ero troppo concentrata su me stessa, per notare che Kerem avesse le stesse insicurezze, le stesse fragilità, che però nasconde benissimo, almeno davanti agli altri.
Ma io sto andando oltre, come lui ha fatto con me.
E dopo quella richiesta di restare, io non potevo rimanere immobile. Sono perfettamente consapevole che Gunfer farà di tutto per aiutarlo, sia perché lavora per lui, sia perché gli è palesemente affezionata, lo si capisce da come affettuosamente lo rimprovera.
Ci tiene a lui, e ci tengo anch'io.

Ed è solo per lui, che mi sto dirigendo a casa di Murat, quella casa che avevo tanto sperato di non vedere più.
Sono nervosa, agitata, ma non ho paura. Mi sembra che una forza interiore mi stia spingendo a continuare, a proseguire nel mio intento.
Parcheggio poco distante, indossando un cappello, occhiali da sole e due mascherine, e sperando che nella confusione del mattino nessuno mi veda.
Avvio dal cellulare il registratore vocale e mi dirigo verso quella che è stata per qualche tempo la mia dimora.

Murat mi accoglie non troppo sorpreso, ma certamente soddisfatto.
Lo si capisce dal sorriso di chi ha la certezza di aver vinto, perché per l'ennesima volta, io sono da lui. Mi invita a parlare sul divano, ma io rifiuto. Non è una visita di cortesia, questa.
Ci accomodiamo al tavolo di legno, l'uno di fronte all'altra.

-È sempre un piacere vederti, Hande- comincia, appoggiandosi allo schienale della sedia ed incrociando le braccia la petto.

-Vorrei poter dire la stessa cosa, ma mi è impossibile farlo-

-Eppure sei qui-

-Sono qui per dirti che il tuo gesto è meschino, oltre che disgustoso. Hai infangato la reputazione di un uomo che nemmeno conosci, come riesci a dormire la notte? Hai mai dei rimorsi? O vivi come sempre nel tuo ego smisurato?- lo affronto, sporgendomi con il busto verso di lui.

-Non so di cosa tu stia parlando-

-Oh, se vuoi ti rinfresco subito la memoria. Hai venduto notizie false a vari paparazzi e pseudo giornalisti, facendo passare Kerem per l'uomo che non è. E tutto questo per cosa? Perché volevi che cedessi al tuo stupido ricatto?-

-Ti avevo avvisato, Hande. La vostra reputazione o la mia. Non potevo passare come l'uomo abbandonato e tradito. Mi hai umiliato Hande, in tutti i modi che un uomo possa essere umiliato-

-Io non ho fatto proprio nulla, Murat, e i tuoi tentativi di farmi sentire in colpa ormai non hanno più alcun effetto su di me, perché per me sei nessuno. Ascoltami, questa conversazione si sta prolungando fin troppo. Voglio che ritiri tutte le accuse, che i giornali facciano sparire queste notizie-

Murat scoppia in una risata isterica.

-Sei pazza? Ormai quelle notizie hanno fatto il giro della Turchia e non solo, non posso fare proprio nulla-

Bizim kaderimiz Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora