Capitolo trentacinque

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Mi sveglio di soprassalto, sudata e con le lacrime agli occhi. Ho la tachicardia, il battito è talmente veloce che mi sembra che il cuore possa esplodere, che possa accusare un infarto da un momento all'altro.

Mi volto verso il lato destro del letto, è vuoto. Deglutisco, mentre tento di muovere qualche muscolo. A fatica e dopo una manciata di minuti, riesco a spostare le gambe verso l'estremità del materasso, e a toccare i piedi nudi contro il pavimento gelido, che mi fa rabbrividire. Socchiudo gli occhi, scossa.

Indosso una giacca di tuta abbandonata sulla poltrona e mi dirigo ancora sconvolta verso la cucina per bere un po' d'acqua.

Il ricordo dell'incubo appena vissuto mi scuote le viscere, facendomi impallidire. Cerco un bicchiere, ma i flashback del sogno lampeggiano nella mia testa con violenza. Complice un tuono improvviso proveniente dall'esterno, faccio cadere il bicchiere di vetro a terra, rischiando persino di tagliarmi.

Lo osservo inerme, mentre le mie mani tremano senza controllo, le lacrime ricominciano a scorrere lungo il viso senza il mio permesso. Cerco nel buio il mio cellulare, notando che sono le due di notte.

Con il cuore in gola e priva di alcuna lucidità, chiamo il primo numero che mi viene in mente: Kerem.

-Hande? Che succede?-

La sua risposta arriva dopo qualche squillo di troppo. Nel sentire la sua voce assonnata i sensi di colpa mi assalgono, e tento di reprimere un singhiozzo.

-Kerem... perdonami, non volevo disturbare- cerco di ostentare una calma che non ho, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano.

-Hande, che succede? Stai bene?- avverto la sua voce preoccupata e deglutisco.

Come ho potuto chiamarlo così, nel cuore della notte?

-Sì... sto bene. Perdonami se ti ho chiamato, ho sbagliato. Sai, credo che dovrò cambiare telefono... perdonami. Buonanotte, Kerem- chiudo repentinamente la chiamata senza attendere una sua risposta, singhiozzando.

Prendo un altro bicchiere, lo riempio d'acqua fresca, e mi dirigo verso il soggiorno, sedendomi sul divano con lo sguardo perso nel vuoto.

26 dicembre.

Dovrebbe essere un periodo di festa, con qualche giorno di riposo. Gli ultimi momenti di un anno intenso. Dovrebbe portarmi gioia, invece non faccio che pensare alla mia mamma. Sono andata al cimitero oggi, e non riesco a reprimere una forte sensazione di nausea e pugno allo stomaco quando mi soffermo davanti alla sua immagine. È esattamente nei giorni di festa, che avverto maggiormente la sua mancanza.

Ho sognato di perderla, di nuovo. E assieme a lei, ho sognato la partenza di Kerem, che mi voltava le spalle. E io volevo correre, raggiungerlo, fermarlo, ma non riuscivo. Ero paralizzata.

Entrambe le fonti del mio sorriso erano lontane da me, ed io mi sentivo impotente.

La pioggia scende battente, colpendo violentemente le finestre, che tremano davanti all'impetuosità di questa tempesta.

Mi sento sola, o meglio, ho paura di esserlo nuovamente.

Socchiudo gli occhi, tentando di recuperare respiri profondi, ma ogni tentativo è vano.

Dannati incubi e dannata mente ingannatrice.

Quando avverto il campanello squillare insistentemente, credo quasi di essere in un altro sogno, o di vivere un'allucinazione.

Ma il suono è forte e prepotente, ed io sono costretta a posare il bicchiere sul tavolo e dirigermi verso la porta, solo per far tacere i miei dubbi inesistenti.

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