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JACQUELINE

"Quindi ti rivedrò tra una settimana?", Matt ha la stessa espressione di uno madre che vede il proprio figlio partire, all'appena maggior età, per la guerra.
"Matt, starò via solo una settimana. Non per sempre. Su con la vita", gli do di gomito facendolo ridere.
Mentre ci avviamo verso il grande cancello della scuola, alla fine della giornata scolastica, incrociamo il professor Roberts.
Oggi è particolarmente affascinante. È vestito diversamente dal solito: una giacca verde con doppie tasche sulla parte davanti gli copre le spalle. Ha una maglietta grigio scuro infilata in dei blue jeans a vita alta, strappati sulle ginocchia, che contribuiscono a rendere le sue gambe lunghe, otticamente, ancora più lunghe. Ai piedi, non ha i suoi soliti stivaletti neri dal tacco quadrato, ma un paio di Converse nere e bianche.
Non ci ha ancora visto. Ha la testa china e le mani si immergono freneticamente nelle tasche della giacca, per poi passare a quelle dei pantaloni. Sembra agitato, come se stesse cercando qualcosa con la convinzione di trovarla dove sta tastando, senza successo.
"Buongiorno - diciamo insieme io e Matt. Non ci degna di uno sguardo e continua a cercare, adesso nella cartella in cuoio. Ci fermiamo, dopo esserci scambiati uno sguardo divertito, io e il mio amico. Solo io proseguo - professore, tutto bene?", alzo la voce nell'ultima frase. Lo vedo sobbalzare per la sorpresa. Ci squadra un attimo, come se stesse venendo da un altro mondo. Il suo mondo.
"Buongiorno ragazzi", dice solo questo è continua a buttarsi le mani nelle tasche.
"Ma dove diavolo le ho messe?", dice fra se e se. A quel punto, immagino che stia cercando le chiavi della macchina.
"Tasca davanti", l'ho guardato tutto il tempo e la tasca frontale della cartella è l'unica parte che non ha ancora controllato ed è anche dove gli avevo visto mettere le chiavi la mattina a prima ora, dopo che aveva poggiato la cartella sulla cattedra.
Mi guarda confuso, poi con estrema lentezza infila la mano nella tasca frontale della cartella. Il tintinnio metallico è la dimostrazione che avevo ragione.
"Come sapevi...", mi guarda come se avessi fatto comparire un coniglio bianco e paffuto da un cilindro. Gli mostro un sorriso compiaciuto e mi giro verso Matt, che mi guarda esattamente allo stesso modo del professore. Alzo gli occhi cielo. Maschi.
"Dai, andiamo", tiro Matt per il braccio.
"Arrivederci, professor Roberts", gli sorrido. Lui sorride di rimando, con la mano che tiene le chiavi ancora a mezz'aria. Quanto è dolce. Basta JJ.
"Arrivederci ragazzi".

❁ ❁ ❁

"Sì. No. Va bene. Se mi fai parlare, ti racconto", sto parlando al telefono con Matt. Saranno passati circa dieci minuti dall'inizio delle telefonata e sono dieci minuti in cui mi ha bombardato di domande a cui non avevo neanche il tempo di rispondere, se non con monosillabi.
"Si scusa. Vai raccontami!", finalmente si zittisce.
"Sono stata in tre università. Era distrutta, per questo non ti ho chiamato. Ho viaggiato un sacco", sono arrivata a Milano quattro giorni fa. Ho viaggiato quasi tutti i giorni in tram, treni e autobus per, più o meno, dodici ore al giorno.
Matt sta zitto, quindi continuo.
"Ho passato più tempo su tram, bus e treni che per terra. Sono andata a Monaco, Nizza e a Torino. Domani farò un giro per Milano e poi finalmente in Olanda. E poi, torno a casa, partendo direttamente da lì", ho incastrato il cellulare tra la guancia e la spalla, in modo da liberare le mani. Finisco di posare le ultime cose che non mi serviranno domani nella valigia, così da averla pronta per il giorno dopo domani.
"Mia mamma mi ha chiesto di dirti se puoi portarle qualche souvenir, per favore", Corinne ha una collezione sterminata di souvenir che ha preso nei mercatini di tutti i bellissimi posti che ha visitato e che quelli che le ho portato io dai posti che ho visitato.
Le porto sempre qualche oggetto particolare, anche se non me lo chiede. Mi fa sempre piacere farlo.
"Sì, certo. Ho già iniziato. Ho preso qualcosa nei giorni scorsi".
La conversazione non dura tanto, perché Corinne lo chiama per il pranzo e mi saluta.
Chiusa la chiamata, appoggio il cellulare sul comodino della mia stanza. Dopo appena un minuto lo schermo si illumina e il telefono vibra.
Mi avvicino. Nuovo messaggio.
Sblocco il telefono:
    Numero sconosciuto: < Buongiorno >
    Numero sconosciuto: < È da un paio di giorni che non ti vedo a scuola.
                Stai bene? >
Ma chi é?
    Tu: < Ciao, chi sei? >
La risposta non tarda ad arrivare.
Mi lascia sconvolta.
Senza parole.
Piacevolmente sorpresa.

Tra i banchi di scuola - Althea PataniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora