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LUCAS

"Pronto?", avevo sentito squillare il telefono dall'altra parte della stanza. Mi sono trascinato fino al punto da dove proveniva il trillo. Ho risposto senza guardare chi mi stesse chiamando.
"Lucas - quella voce - sono Jacqueline", Jacqueline. Jacqueline Jenkins.
"Jacqueline?", ancora non riesco a crederci che siamo al telefono.
"Sì, Lucas. Jacqueline", la sento ridacchiare dall'altra parte del telefono. Cala di nuovo il silenzio, proprio quello che mi ha accompagnato per questi tre giorni. Sento che ancora lì dal suo lieve respiro.
"Lucas, che succede?", mi pone questa domanda come se fossimo amici da anni. Come se sapesse già che c'è qualcosa che non va.
Tre giorni fa, la persona più importante della mia vita mi ha lasciato. Nonna Grace mi ah lasciato un paio di giorni fa. all'improvviso. Non ho la forza di far nulla. Sono stato disteso sul letto, coperto di lacrime e stretto nel dolore.
"Puoi venire?", chiedo senza pensarci. Ho bisogno di qualcuno. Ho bisogno di lei.
"Da te?", mi chiede per conferma.
"Si", rispondo in un soffio.

JACQUELINE

Dopo aver chiuso la chiamata, mi sono precipitata a sistemarmi in bagno. Prima il trucco e poi i capelli, passandoci le mani dentro per ravvivarli. Mi fermo davanti allo specchio domandandomi perché lo sto facendo e nello stesso istante mi rispondo che la risposta può aspettare. Afferro le chiavi di casa e il telefono e scendo al piano di sotto, dove trovo mia madre seduta sul divano.
"Mamma, sto uscendo", le comunico avviandomi direttamente alla porta.
"Dove vai?", mi chiede con voce rilassata ma ferma.
"Esco. Faccio un giro", le risponde semplicemente.
"Eh, va bene. Fai attenzione e non tornare troppo tardi".

Esco di casa e a passo svelto mi avvio alla fermata dell'autobus più vicina a casa mia. Avrei dovuto prendere due autobus di linea urbana per arrivare a casa di Lucas, ma non ci avrei impiegato più di mezz'ora.
Dopo circa venti minuti sono sotto casa di Lucas. È un palazzo bifamiliare. Riconosco l'appartamento di Lucas dalla sua auto nera parcheggiata nel vialetto.
Suono al campanello, dopo un paio di secondi mi apre il biondo. Non appena vedo in che stato si trova sussulto. È pallido, più pallido del solito. I suoi zigomi sono accentuati dal suo volto scavato, incorniciato da barba incolta. Le labbra sono secche, bianche e screpolate. Ha i ricci spettinati. I suoi occhi azzurri sono quasi grigi, per quanto sono spenti e primi di allegria.
Non parliamo. Neanche una parola dalle nostre bocche. Si sposta di lato per farmi entrare. Mi guardo intorno: la casa è molto luminosa, piccola e accogliente. C'è un ampia cucina dai toni del nero e del beige che risulta molto gradevole alla vista. Mi fa accomodare nel piccolo salottino di fronte la cucina.
"Vuoi qualcosa da bere?", mi chiede in un sussurro.
"No, grazie. Sto bene così", non dice più niente. Rimane lì, in piedi, con lo sguardo fisso sul pavimento in legno.
"Lucas - mi metto in piede e gli vado incontro, ad un passo da lui - Lucas, puoi dirmi che succede, per favore?", sono sovrastata dalla sua altezza. Le mie mani sul suo petto. Alza la testa. I suoi occhi si incastrano nei miei. Diventano acquosi. Un po' di oceano nei suoi occhi inizia a navigare a gocce sulle sue guance. Il suo respiro si fa pensate. Mi distrugge vederlo così.
"Io non...", inizia a parlare, ma la sua voce viene interrotta dai singhiozzi violenti del pianto, trattenuto forse per troppo tempo. Crolla in ginocchio e io con lui. Lo stringo al petto e lo sento sussultare per i singhiozzi. Inizia un pianto disperato, colmo di dolore.

Sembra passata un'infinità di tempo quando, finalmente, Lucas si tranquillizza. Sono seduta ai piedi del divano, con le gambe dritte sul pavimento. Lucas ha la testa poggia sulle mie cosce, tiene gli occhi chiusi. Ha ancora il naso rosso, per via dal pianto. Gli accarezzo i capelli, avvolgendomi i ricci nelle dita. 

"Ti va di raccontarmi cosa è successo?", gli chiedo. 

"Io non vivevo da solo. - si ferma facendo una pausa. ancora gli occhi chiusi e parla a bassa voce - vivevo con mia nonna. Lei mi ha cresciuto quando c'era mia mamma e anche quando se n'è andata"

"Aspetta, tua mamma ti ha abbandonato?"

"No - lo guardo perplessa, anche se lui non può vedermi - aveva la stessa malattia di mia nonna. A quanto pare, me le ha portate via tutte e due", gli si incrina la voce. 

"Mi dispiace tanto", sussurro presa dal suo dolore e dalla sua tristezza.

Deve essere passato parecchio tempo, perché le mie gambe iniziano a formicolare sotto il peso di Lucas. Siamo nella stessa identica posizione.

"Lucas? Posso farti una domanda?", lui apre gli occhi e mi guarda. I suoi oceani sono di nuovo i suoi oceani, azzurri cristallini.
"Sì, dimmi", ha la voce roca.
"Quando torni a scuola?", prende un respiro profondo e si tira su a sedere.
"Non lo so ancora. La scuola mi ha detto che posso prendermi tutto il tempo che mi serve". Gli accarezzo una guancia, la barba ispida mi pizzica piacevolmente la mano. Chiude gli occhi e si posa con delicatezza sulla mia mano.
Quel momento viene interrotto dal mio telefono che squilla. Mamma. Sciolgo quel contatto e rispondo.
"Pronto? Si. No. Va bene. A domani", Lucas mi osserva con le sopracciglia aggrottate.
"Che succede?", mi chiede, spostandomi un ciocca di capelli che mi era caduta sul viso.
"Niente. Mia mamma mi ha avvisato che esce questa sera, probabilmente con il suo amante".
"Vuoi rimanere?", mi chiede lui d'un tratto.
"Ehm... rimanere? Qui?"
"Sì e sì", sbuffa una risata.
"In realtà, vorrei, ma ho una piccola fobia", dichiaro stringendomi nelle spalle.
"Sarebbe?", alza le sopracciglia curioso.
"Non mi piace andare in giro quando è troppo tardi la sera"
"Puoi dormire con me", dopo che ha pronunciato quelle parole, si fa rosso in viso.
"Oh, ma quando è diventato così loquace e diretto, professor Roberts?", scherzo per alleggerire l'imbarazzo, prima che le sue guance scoppino.
"Oh, ehm, volevo dire..."
"Ho capito, tranquillo. Comunque, non so. Non voglio esserti di impaccio"
"Nessun fastidio. E domani non hai neanche scuola"
"Cosa? Come fai a sapere che domani non ci sono lezioni?", rifletto e scuoto la testa per la mia stupidità. È un professore, stupida.
"Accetto!", annuncio.
"Cosa?", Lucas, sveglia!
"Rimango", mi mostra le fossette contento. I suoi occhi non brillano ancora.

Tra i banchi di scuola - Althea PataniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora