27

98 5 0
                                    

LUCAS

Non so per quanto tempo io sia rimasto nella stessa posizione, rannicchiato a terra con le braccia strette attorno al corpo, gli occhi stretti per il dolore. Sento ancora calde lacrime rigarmi il viso.
Io non lo amo, questa frase mi rimbomba nella testa e ogni volta è una pugnata profonda al cuore. Non so come, trovo la forza per sollevarmi leggermente dal pavimento. In bocca sento il sapore amaro e metallico del sangue che, uscito dal labbro, era entrato in contatto per sbaglio con la mia lingua. La testa gira vorticosamente e mi costringe a rimettermi con la faccia sul pavimento. Subito dopo credo di essermi addormentato, ho sentito piano piano il dolore abbandonare il mio corpo, la mia vista offuscarsi, altre lacrime e poi il buio.

A scuotermi dal mio sonno profondo c'è un rumore fastidio e ripetitivo che mi punge i timpani. Un bip...bip continuo. Quando inizio a riprendere controllo del mio corpo, sento un leggero profumo dolce nel naso e qualcosa, come un tubicino, a pizzicarmi le narici. Sento le palpebre svolazzare e qualcosa di morbido e leggero accarezzarmi prima una mano e poi la fronte.
"Jacqueline...", respiro piano.
"Lu...", una voce più bassa di quella che mi aspettavo sussurra il mio nome. Non è Jacqueline.
"Lu, sono io. Maëlie".
Apro e chiudo gli occhi un paio di volte prima di abituarmi alla luce, resa abbagliante dalle pareti totalmente bianche. Mi accorgo, in realtà, che uno dei due non si apre per niente. Ho un mal di testa terrificante e non riesco a muovermi. Dove diavolo sono?
"Cosa è successo?", chiedo a voce bassa.
"Non lo so di preciso. So solo che sono venuta da te, non rispondevi alla porta e poi ho notato che era aperta. Ti ho trovato svenuto per terra e ho chiamato i soccorsi. Siamo in ospedale adesso", parla lentamente e scandendo le parole, e nonostante questo alcune mi sfuggono. Inizio a guardarmi intorno. Ad ogni piccolo movimento sento come se le mie cervella si smembrassero. Scopro da dove proviene il bip continuo: la macchina che misura il battito cardiaco. Noto che ho un ago su entrambe le braccia all'altezza della piega del gomito. In una è collegata una sacca di soluzione trasparente, nell'altra una piccola boccetta di vetro a testa in giù. Scopro anche cosa solleticava le mie narici: ho un tubicino di plastica morbida per l'ossigeno, mi rendo conto che, effettivamente, respiro a fatica e che devo aprire spesso la bocca per far entrare più aria. Non ho i miei vestiti addosso, ma un camice striminzito, che copre a malapena metà del mio corpo, azzurro con piccoli pallini bianchi.
"Chiamo il dottore, gli dico che ti sei svegliato", mi comunica Maëlie, che mi lascia un morbido bacio sulla fronte e lascia la stanza e le pugnalate tornano a farsi sentire.

Pochi istanti dopo rientra nella stanca accompagnata da un uomo in camice bianco.
"Allora, Lucas Jeremy Roberts. Buongiorno, sono il dottor Smith", non rispondo al saluto, aspetto solo che continui a parlare. Il dottor Smith è un uomo molto alto e corpulento, di quelli che sfogano il loro stress in palestra, riesco a vedere i suoi grandi bicipiti tendergli il camice. Ha la pelle diafana con una spruzzata di lentiggini scure sugli zigomi e sul naso. I suoi occhi grandi e chiari sono schermati da un paio di occhiali da vista dalle lenti tonde. I capelli sono biondo scuro dal taglio sbarazzino con una frangia strana. Sembra molto giovane.
"Le sue condizioni non sono gravi, ma neanche delle migliori. Lei ha: due costole incrinate e una rotta, che le ha provocato una piccola, parziale lacerazione del polmone sinistro, ma niente di grave è davvero piccola come lacerazione. Ha un occhio nero e gonfio, dei lividi e contusioni un po' ovunque", mi riassume leggendo sulla cartellina che ha con sé. Bene, ma non benissimo.
"La cosa positiva è che non ha avuto bisogno di un'operazione. Almeno fino a questo momento. Se la lacerazione non dovesse risanarsi da sola dovremmo operare. - chiudo gli occhi e spero con tutto me stesso che tutto questo finisca presto - Le abbiamo somministrato una cura antibiotica per evitare eventuali infezioni ed è sotto effetto di antidolorifici, la informo che tra un paio di ore inizierà a sentire i dolori. Se questi dovessero diventare insopportabili le daremo degli ulteriori antidolorifici", respiro a fatica.
"E come l'ultima cosa: non potrà alzarsi dal letto per un paio di giorni. Per espellere i suoi bisogni si rivolga agli infermieri, le daranno una mano", conclude.
"Dottore - richiamo il dottor Smith che si stava avviando verso la porta della mia stanza d'ospedale - da quanti giorni sono qui?", chiedo con un filo di voce. Lui analizza la cartellina che ha in mano per una seconda volta.
"Dodici", dodici ore, forse? Wow, sembra passato pochissimo.
"Dodici ore?", chiedo per conferma, anche se la risposta è abbastanza ovvia.

"Dodici giorni", il dottore lascia la stanza. Rimango congelato. Dodici fottuti giorni.  

JACQUELINE

Da circa due settimane cerco di contattare Lucas.
Sono due settimane che fingo di essere veramente interessata a Fletcher, pur di non assistere a un'altra di quell'orribile scena.
E sono due settimane che chiamo Lucas senza nessuna risposta. Avrò mandato un centinaio di messaggi, a cui lui non ha mai risposto.
Fletcher crede che finalmente io lo abbia dimenticato. Ma io sono brava con i numeri. Il suo numero lo so a memoria. Per farmelo dimenticare non bastava eliminarlo dalla mia rubrica, avrebbe dovuto eliminarlo dalla mia testa e dalla mia memoria.
Nessuno sa cosa è successo tra noi e spero che nessuno lo venga mai a sapere.
"JJ? - mi chiama Matt - ti va se andiamo a prenderci un tè dopo scuola?"
"Sì, perché no! - rispondo con finta allegria - dove andiamo?", chiedo.
"A LesBonBons, ho sentito che ha riaperto. Era stato tutto distrutto. Si pensa sia stato qualcuno ubriaco o drogato", no, caro Matt. Nessun ubriaco. Nessun drogato, purtroppo. Mi ricordo solo in quell'istante dell'esistenza di Maëlie. Chiederò a lei di Lucas.
"Fletcher, ti dispiace se te la rubo per tutto il pomeriggio? È da tanto che non riesco ad averla tutta per me", Matt mi guarda e capisco che forse stiamo pensando la stessa cosa.
"Certo! Fate i bravi!", mi lascia un bacio sulla tempia, prima di alzarsi e avviarsi verso la sua aula insieme a noi al suono della campanella di fine pausa.

Tra i banchi di scuola - Althea PataniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora