Cap. 22 Il grido della Libertà

4 0 0
                                    

L'attesa era ormai durata troppo. Il re continuava a ritardare la riunione con i suoi cavalieri presso la sala del trono dove pochi giorni prima aveva ricevuto le ambascerie di tutti i lord del regno. Dal canto suo, Merlino non era sempre solito tornare in tempo come promesso ai loro incontri privati, ma quell'attesa per il suo ritorno a corte stava diventando troppo forte per il giovane sovrano, ormai pronto alla guerra. Aspettami al tramonto del giorno seguente presso la sala del trono di Camelot - gli aveva detto il mago prima di scomparire - e poi nessuno aveva più sentito la voce di Merlino per diversi giorni. Troppo per Artù, abituato ad avere sempre il maestro al suo seguito prima di intraprendere azioni importanti. E questa, forse, era quella più difficile in un momento così grave. Faceva su e giù per la sala del trono, rimuginando su quanto era accaduto durante il consiglio di guerra insieme ai lord del regno. Le loro proteste in merito ad un'azione militare da intraprendere contro i Sassoni non era sbagliata e il re sapeva benissimo che mandare i suoi soldati in battaglia in quelle condizioni non sarebbe stata la cosa più saggia da fare. Ma era pur sempre l'azione più giusta per impedire che Camelot venisse conquistata. Ci aveva impiegato un anno intero per togliere il monopolio delle coste ai predoni del nord e altri due per impedire che i seguaci di Vortigern continuassero a imperversare lungo le strade principali che collegavano la capitale ai villaggi e agli altri regni della Britannia. Albion - o Albione come lo pronunciavano i dotti cristiani - era divenuta una terra libera e protetta grazie al coraggio e alla determinazione che il giovane sovrano aveva dimostrato in quei primi anni di reggenza. Non era come suo padre - abituato ai campi di battaglia e alle difficoltà estreme - ma aveva dimostrato al regno di essere un pragmatico e deciso nelle decisioni da prendere per il bene dei sudditi. Con il passare del tempo, i suoi compagni d'arme lo aveva accettato e riconosciuto come capo così come i sudditi che lo amavano e rispettavano come loro re. Non poteva dirsi lo stesso dei nobili - e il consiglio di guerra lo aveva ampliamente confermato - i quali speravano sempre di vedere un condottiero più esperto e addestrato di un ragazzo di soli diciannove anni sedere sul trono dei Pendragon. Aureliano Ambrosio, il generale romano che aveva fondato la dinastia dopo il ritiro delle truppe imperiali, si era distinto per la sua ferocia in battaglia contro i nemici che osavano opporsi. Eppure, si era dimostrato anche un buon politico, astuto e capace di tenere la mano ferma di fronte a questioni più delicate. Dal canto suo, suo padre Uther non era stato altrettanto simile al suo predecessore: nato soldato, era rimasto un militare tutta la vita anche dopo essere asceso sul trono. Circondatosi di uomini di fiducia per amministrare un regno in espansione, non era riuscito a tenere testa all'esercito in armi finendo per essere tradito proprio da coloro che lo avevano eletto re. L'ascesa di Artù era stata meno violenta- e questo grazie a Merlino e alle sue lezioni di vita - ma non per questo meno complicata. Il "piccolo orso" si reggeva ancora sulle ali spiegate del drago rosso, senza sapere fino a quanto queste ultime lo avrebbero protetto. Ripensava sempre alle storie che Merlino gli raccontava da bambino per spiegargli la sua origine, instillando in lui il seme del coraggio per prepararlo a ciò che sarebbe diventato. Sembrava un racconto glorioso come quelle leggende che i bardi raccontano la sera accanto al fuoco. Ma ora, dopo aver compreso cosa voleva dire essere re, Artù non vedeva nulla di eroico in quel ruolo che gli era stato destinato. Senza la guida costante di Merlino, il giovane sovrano si chiedeva se quello fosse davvero il suo destino o se altri avessero scelto per lui prima ancora che nascesse. Si sentì improvvisamente piccolo e incapace e nemmeno la presenza salda di Excalibur vicino al suo scranno gli diede serenità in quel momento. 

Fu il rumore di un'anta della porta a destarlo dai suoi pensieri. Appena il legno andò a collidere con la pietra, Artù si riscosse e spostò lo sguardo verso l'uscita. Nella sala del trono piombò d'improvviso una delle sue guardi di palazzo, armata e vestita di tutto punto come richiesto dal re in persona. Ma Artù notò che non era sola. A pochi centimetri da sé, la guardia teneva per un braccio un'altra persona. Artù ci mise poco a capire che si trattava di un bambino. La guardia lo trascinava malamente per l'avambraccio il piccolo, strattonandolo spesso quando quest'ultimo puntava i piedi per non proseguire oltre. Chiaramente, il bambino doveva essere stato colto in flagrante nel compiere qualche bambinata e la guardia - mostrandosi chiaramente incapace nel saperci fare con i marmocchi - per fargli paura lo aveva trascinato al cospetto del sovrano per far sì che venisse punito. Qualcosa però insospettì Artù. Il ragazzino doveva avere più di sette o otto anni di età, ma non pareva venire dalla Città bassa di Camelot. Portava indosso degli abiti lerci, bagnati e sporchi dalla testa ai piedi dove, fra l'altro, non portava nemmeno le scarpe. I piedi erano scorticati e sanguinanti, mostrando già alcune escoriazioni e vesciche scoppiate ormai da qualche giorno. Anche il suo volto era rovinato come se qualcuno lo avesse preso a botte prima di lasciarlo andare.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 14, 2023 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Artù e Ginevra. L'amore dietro la LeggendaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora