Cap. 7 - Il Consiglio del re

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La sala del consiglio ristretto di Camelot era molto diversa da come Ginevra l'avesse immaginata. Una stanza piccola rispetto a tutte le altre ali del castello che era stata costretta a visitare. Un luogo freddo, illuminato da alcune candele poste ai muri e sorrette da vecchi candelabri in ferro, ormai arrugginiti dallo scorrere frenetico del tempo. Rispetto ai tempi di re Uther, quando la sala del consiglio era davvero il cuore pulsante del regno britannico, con Artù quel luogo era stato per mesi dimenticato, quasi cancellato dalla memoria di chi, a Camelot, ci viveva da sempre. I servi di corte così come gli scudieri e gli scrivani che si occupavano di mantenere viva la memoria dei sovrani del passato, pareva avessero scordato l'importanza di quel luogo da quando Vortigern e i suoi mercenari avevano preso possesso dell'Anglia orientale fino a spingersi sulla costa sud dell'isola, sorprendendo Uther e i suoi cavalieri fino alla dipartita di quest'ultimo per mano dello stesso tiranno. Era stato solo dopo l'estrazione di Excalibur dalla roccia che Merlino, ormai divenuto consigliere del re, aveva decretato che a Camelot fosse istituita una sede privata dove il re e i suoi uomini, in attesa che terminassero i lavori di ricostruzione delle altre sale, potessero riunirsi in privato, lontano da sguardi indiscreti o orecchie troppo curiose. Merlino era un druido e diffidava della lealtà di povere servette e uomini che si definivano colte e saccenti. Perfino il vescovo di Camelot era all'oscuro di quella stanza così come altri prelati della contea. Il mago era scaltro, più di quanto potessero immaginare. 

Quando vi entrò per la prima volta, Ginevra stessa avvertì un'atmosfera gelida risiedente in quel luogo, come se la gioia e l'amore che la gente di Camelot le aveva dimostrato fino ad ora non fosse mai giunta oltre quelle porte. La stanza era piccola e solo una mente tanto fredda e acuta come Merlino in persona poteva concepire quel luogo come il solo in grado di proteggere i segreti di stato. Artù, dal canto suo, aveva preferito non contraddire il suo mentore che temeva e rispettava allo stesso modo. In compenso però, Artù aveva predisposto che quel luogo fosse migliorato con poche piccole aggiunte come una cassapanca dove tenere le pelli d'orso per proteggersi durante le notti d'inverno e un piccolo scriptorium dove il suo scrivano personale, il vecchio Gaius, potesse prendere nota di tutto quello che il re e i suoi cavalieri dicevano durante quelle riunioni. Non doveva essere una stanza sfarzosa così come le altre che aveva visto, ma doveva dare l'idea che il re fosse attento a come la sua presenza influenzasse il pensiero degli altri. Per questo, al centro della stanza, era stata disposta una tavola rettangolare dove però Artù aveva fatto togliere la sedia posta a capo tavola, preferendo che il suo scranno fosse non alla testa ma in mezzo a quello degli altri. Un gesto curioso per un ragazzo così giovane che si apprestava a governare una terra ancora piena di pericoli. La storia aveva insegnato ad Artù ad essere cauto. Un re poteva essere invincibile al mattino e finire con la gola tagliata alla sera prima di coricarsi. Non era un privilegio essere re, ma un compito duro e complicato. I nemici Sassoni erano stati respinti oltre mare ormai, ma il ragazzo sapeva bene che altri nemici erano ancora a piede libero. Alcuni di questi perfino a corte avevano i loro agganci e non si sarebbero fatti attendere ancora a lungo. Su questo, Merlino lo aveva avvertito prima ancora che indossasse la corona. 

Ginevra entrò con poco clamore in quel luogo. Non appena le porte della sala si aprirono, nella mente dei pochi presenti ci fu qualche scompiglio. Appena il volto della regina fu chiaro a tutti, i pochi cavalieri presenti nella sala rimasero ammutoliti. Il solo Artù fu sollevato nel vedere la sua splendida moglie entrare come una dea in quel luogo freddo e remoto. 

-Maestà- la voce di ser Galvano, uno dei più grandi amici di Artù, fu la prima che emerse dal piccolo gruppo. Galvano era originario della Cornovaglia anche se, per molto tempo, aveva servito come mercenario in Irlanda. Aveva una barba incolta, segno che era poco più giovane del re di qualche anno. Indossava una tunica bianca, stretta in vita da un cinturone in pelle al quale stava legata la sua spada. Non portava nessun ornamento particolare se non un ciondolo al collo a forma di airone, il simbolo della sua casata. Per Ginevra non fu difficile riconoscerlo proprio grazie all'airone, già notato in precedenza sulla divisa indossata dal suo scudiero Tristan. 

Artù e Ginevra. L'amore dietro la LeggendaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora