Cap. 8 Il sortilegio

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Da ormai molte ore stava chiuso in quel buco di studio come un topo. Non che l'oscurità lo disturbasse - ormai era abituato a leggere e scrivere anche alla flebile luce di una candela - ma non era mai una bella sensazione rimanere solo e al freddo mentre si accingeva a studiare i manoscritti antichi. Ma quello era il suo compito. Sin dal giorno della sua iniziazione era conscio di ciò che avrebbe dovuto fare per il bene superiore. Le sue visioni avevano ripreso a disturbarlo con più frequenza trasformando le sue notti di studio in frenetiche lotte per contenere ciò che la magia gli stava imponendo di vedere. O ciò che avrebbe voluto che lui vedesse. Quello era il frutto di un lungo peregrinare. Quello era ciò per cui aveva a lungo sacrificato anni della sua vita. Merlino non era turbato o rammaricato per tutti quegli anni di sofferenza che lo avevano portato lontano, lontano da affetti e amori che avrebbe potuto avere. Ma quello era il suo destino e aveva imparato ad accettarlo. Ora gli spettava ancora un ultima missione prima di congedarsi canuto da quel mondo di sofferenze e rimpianti. Merlino ne era consapevole, ma doveva ancora seguire il giovane re che aveva diligentemente portato al suo legittimo posto nel mondo. Artù era ancora giovane, ma non per questo ignaro a ciò che il suo difficile compito avrebbe di lì a poco portato. Merlino aveva ragione di sospettare ancora di quella scelta, ma più di una volta aveva consultato il volere degli antichi dei. E loro, prontamente, avevano risposto con deboli messaggi ma chiari alle orecchie del mago. Le voci avevano cominciato a girare alla velocità del vento in un mare in tempesta e raggiunto anche le coste della Britannia dove ancora si sentivano risuonare cori e canti dedicati al giovane sovrano che aveva liberato il regno. La stessa Roma e il suo scorbutico sacerdote bianco - così Merlino definiva barbaramente il papa - avevano interpretato la vittoria di Artù come la vendetta di Dio contro i pagani, nemici della vera fede. Merlino era indignato dall'odio che quell'omuncolo vestito di lino e con la tiara in testa definiva i Sassoni, pur consapevole che la stessa Britannia fosse ancora una viva terra alimentata dal fuoco degli ultimi focolai di un radicale culto celtico sopravvissuto all'invasione da parte delle truppe romane. Il suo caro amico, Pelagius, grandissimo retore cristiano e conscio dell'importanza che le genti di quel luogo nutrivano per la religione dei propri padri, aveva cercato di persuadere a lungo il clero secolare nel riconoscere la libertà spirituale del popolo di Uther Pendragon quando questi era ancora un giovane legionario, ignaro del suo vero destino. Merlino, all'epoca un semplice apprendista, ricordava molto bene come il prelato fosse stato ricompensato una volta che la chiesa del Cristo ebbe raccolto la sua testimonianza sulla conversione dei popoli celtici. L'immagine della sua testa mozzata posta su una picca all'ingresso di un castra romano viveva nitida nella testa di Merlino ogni volta che chiudeva gli occhi. Una sorta di avvertimento o di benvenuto che l'anima di Pelagius gli concedeva per rammentargli quanto Roma e i suoi stessi vescovi fossero benevoli verso coloro che non si piegavano al volere di colui che definivano come il "Figlio di Dio". Merlino non era uno sciocco e riconosceva che anche lo stesso Artù aveva tratto beneficio dall'accettazione di quel credo nuovo per se e per il suo regno. Ma lui era diverso. Lui era il Sopravvissuto. Il Reietto. L'ultimo druido di Avalon. L'unico che ancora conosceva gli antichi segreti di un mondo ormai dimenticato. Seppure fosse il consigliere personale del re, Merlino si sentiva estraneo a faccende come quelle. Il suo posto era in biblioteca o nel suo eremo sperduto nella foresta. Lì, in quel luogo nascosto, aveva trovato riparo durante le persecuzioni della Chiesa cristiana contro i seguaci della Dea Madre, della quale lui era sempre stato un fervido sostenitore. In quel luogo aveva imparato ad usare i suoi poteri, a controllare la sua rabbia e perfino ad educare un ragazzo che avrebbe un giorno cambiato il destino di un popolo. Ma il mago non era felice. Sapeva che quelli erano solo piccoli gradini di una scala ancora lunga da percorrere e della quale non vedeva ancora la sospirata fine. Il segno che ancora il suo compito non fosse giunto al termine lo aveva appreso dal ritorno delle sue visioni, ora divenute più frequenti ed aggressive rispetto ai mesi precedenti. Immagini pericolose che non dovevano tormentare la mente di un uomo ormai giungo al termine della sua vita. Una vita segnata continuamente dalla ricerca alla verità e dal risentimento per tutto ciò che era andato perduto nel corso degli anni. 

Artù e Ginevra. L'amore dietro la LeggendaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora