Cap. 14 Il piano di Ginevra

56 2 0
                                    

Quei giorni al castello erano diventati frenetici. Ginevra passava le sue giornate a camminare per le sale di Camelot oppure nei giardini posti sul retro del castello, nei cortili dove si trovavano anche i due bracci che conducevano alla cappella privata dove il re era solito pregare ogni mattina prima di dedicarsi alle singole faccende politiche. Era da un paio di giorni che il marito non le faceva visita e la ragazza cominciava ad essere stanca di quella solitudine angosciante. Artù era un re giovane e aveva decisioni molto importanti da prendere per il regno. Ma era pur sempre suo marito e lei desiderava parlargli ogni tanto e godere della sua compagnia prima che gli obblighi del suo ruolo si facessero strada anche nella loro intimità. Il re si assentava spesso ultimamente, sia per ragioni politiche che per altri motivi. Nemmeno durante l'ora di pranzo finiva il suo cibo. Ogni volta si alzava prima da tavola, lasciando il piatto così come i servi lo avevano portato e se ne andava. Ginevra non sapeva dove, ma il marito si ritirava spesso nella sua stanza e li rimaneva per ore interminabili. Da qualche giorno non si avevano notizie di Merlino né degli esploratori che il re aveva inviato a nord, senza far trapelare nulla ai suoi cavalieri o al resto della corte. Ginevra, dal canto suo, aveva intravisto alcuni messi indossare le casacche e partire velocemente a cavallo, portando con sé lo stendardo reale e alcune provviste. Ma non seppe altro o meglio non ebbe modo di conoscere altri particolari sul perché Artù avesse inviato di nascosto dei messaggeri a nord del paese e all'insaputa di tutti. Un aspetto che aveva voluto condividere con la sua nutrice Ninive, la quale però si era mostrata più turnata di lei a riguardo. La vecchia serva non le rivelò nulla, mostrandosi alquanto turbata da quella situazione e invitando la ragazza a domandare alla sera al marito il perché di quella decisione. Alla regina parve che la vecchia fosse molto interessata ai pensieri che lei e Artù si scambiavano e, ogni volta, era lì a domandare alla fanciulla mille cose. Un mero tentativo di estrapolare pettegolezzi o particolari succulenti sulla loro vita coniugale. Ma Ginevra sapeva come comportarsi e preferiva deviare il discorso su cose futili come quale vestito indossare e quali attività praticare per rendere più piacevoli le sue giornata al castello in assenza del re. In questo Ninive pareva molto seccata e delusa, comprendendo l'astuzia con la quale la giovane riusciva sempre a cavarsela. Ginevra era ignara su quale misteriosa identità si celasse sotto le spoglie di quella gentile vecchietta e quest'ultima era stata molto abile a non lasciare che le sue arti nascoste prendessero il sopravvento sull'innocuo personaggio che si era creata. Ma la regina non era una sciocca e aveva capito che, sotto sotto, quella donna nascondeva qualcosa che non voleva che la fanciulla scoprisse. La madre di Ginevra - per il poco tempo che l'aveva vista crescere - le aveva insegnato tanto sulla vita di corte e su come le donne sapessero essere più crudeli degli uomini a volte. Se un uomo era crudele per natura, una donna lo diventava col tempo a causa di una vita passata a fare la serva anziché la padrona. E in questo, molte donne lo erano davvero. Ginevra non sapeva niente di magia, ma non era del tutto estranea che le antiche arti magiche fossero da sempre esistite a fianco del nuovo credo. Aveva sentito come i vescovi della chiesa romana non fossero grandi estimatori di queste pratiche e di come il papa di Roma avesse condannato tutte le antiche usanze, costringendo gli antichi sacerdoti celtici a nascondersi per sfuggire alle persecuzioni. Con l'avvento della casata dei Pendragon e la ritirata delle truppe romane dalla loro terra, l'equilibrio era stato ristabilito e gran parte di coloro che erano scampati allo sterminio riuscirono a tornare liberi. Ma era risaputo che non tutti i druidi e gli sciamani della Britannia fossero concordi nell'accettare che una nuova fede prendesse il sopravvento su quella dei loro padri. Per questo, oltre all'invasione di nuove popolazioni guidate da un paganesimo ancora più radicato venuto dal nord, nuove forze oscure minacciavano il casato reale inviando uomini e donne pericolosi, posseduti da spiriti antichi e legati alle forze demoniache. Ma non dubitava di certo che Ninive fosse una strega, ma solo una persona molto curiosa e legata ad un mondo ormai tramontato. Ginevra l'aveva sempre vista considerata come la persona più buona del mondo sin da quando era bambina, ma da qualche tempo la vecchia nutrice era strana. Faceva un sacco di domande su Artù e il suo regno, su cosa stesse pensando quando si ritirava nelle sue stanze e cosa sapeva sul conto del suo mentore, Merlino. Pareva una pettegola impicciona quando faceva così e riempiva la giovane regina di domande di ogni genere. Poi un giorno, quando erano rimaste sole al mattino dopo che il re aveva preso alcuni dei suoi cacciatori per una battura, la vecchia si era spinta troppo oltre domandando alla regina se il suo ventre fosse già in attesa. A quel punto Ginevra era sbiancata e aveva reagito, rispondendo con tono ferreo alla vecchia. Ninive si era fatta ancora più buia, dileguandosi in un batter d'occhio dalla stanza privata della regine, borbottando fra sé e sé in una lingua che la regina non comprese. Per un paio di giorni smise di farle visita, scomparendo dalla sua vista. Poi, quando Ginevra pensava di essere stata troppo dura con la sua vecchia balia, Ninive era ricomparsa e le aveva chiesto perdono. Entrambe erano scoppiate a piangere e si erano abbracciate a lungo, chiedendosi rispettosamente perdono. Ninive le chiese di perdonare la sua irruenza e la sua troppa curiosità mentre la regina le chiese di perdonare la sua troppa sicurezza. Poi le confidò ciò che sapeva, senza scendere troppo nei particolari, lasciando per ultimo il tema relativo ad una sua eventuale gravidanza che ancora non si era concretizzata. Le pianse il cuore ammettere che Artù era preso dagli affari di stato in quei giorni così frenetici e che le sue visite alla regina si erano ridotte all'ora dei pasti o a qualche sporadica visita nei giardini reali di Camelot. La regina sapeva che il giovane compagno era chiamato a compiere un grande dovere verso il suo popolo e il suo regno, ma avrebbe tanto voluto che le sue attenzioni cambiassero e, come era avvenuto qualche mese prima, le sue attenzioni fossero rivolte di nuovo solo a lei. Ginevra non era abituata ancora ai doveri che una buona moglie britannica dovesse compiere verso il consorte, ma non poteva non pensare che il re si fosse già stancato di lei dopo pochi mesi dalle loro nozze. Si erano sposati da così pochi mesi che il tempo di conoscersi era stato a dir poco scarso. Poche ore vissute insieme veramente - a parte la notte di nozze è chiaro - più qualche sporadico incontro nei giardini del castello. Poi il nulla. Artù preso da mille impegni politici e lei sempre sola a girare per il castello o a visitare qualche area della reggia che ancora non conosceva bene. Il tutto in compagnia della vecchia Ninive o di qualche goffa ancella affidatale dalle dame di corte. Era come diceva sempre sua madre: la vita di corte è una gabbia dorata. Ti senti subito la più fortunata del mondo, ma in realtà capisci che la vera libertà era quando non avevi nessun obbligo e potevi fare come volevi. Ora Ginevra, regina di Camelot, avrebbe tanto voluto tornare ad essere una semplice ragazzina di Leones che giocava nei giardini della sua tenuta, guardando suo padre e sua madre seduti a bere vino mentre i ciliegi mettevano i primi fiori primaverili. Ecco quella sì che era la vera libertà. Un tempo che sembrava trascorso da troppo tempo da quando aveva sposato il re e seguito lui e il suo seguito nel sogno di una Britannia unita. 

Artù e Ginevra. L'amore dietro la LeggendaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora