Cap. 16 Verità nascoste

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Da qualche ora il clima era cambiato e i primi spifferi del vento si levavano liberi nell'aria. Non era una serata tanto fredda ancora, ma ogni cittadino di Camelot sentiva il cambiamento repentino della stagione e il fatto che il sole fosse calato così presto oltre l'orizzonte. Era il segnale che la stagione stava cambiando. Per quanto fosse normale quel clima, i britanni erano soliti considerare la loro condizione come quella di diversi da tutto il resto del mondo. La Britannia era la terra al confine del mondo conosciuto. Il confine dove non tutto era ciò che sembrava. Ogni pianta, ogni animale, ogni essere vivente che calcasse con i suoi passi quella terra era unico nel suo genere e questo li rendeva diversi anche nell'animo. I Britanni erano visti con occhi diversi dal resto del mondo sin dalle origini. I romani perfino li credevano delle persone speciali, depositari di saperi e credenze che non appartenevano a quel mondo. Giulio Cesare nella sua prima esperienza militare su quella terra, li aveva descritti come esseri particolari, posseduti da poteri speciali sia nelle credenze religiose che nel campo medico. Ma in realtà nel suo commentario - ormai conosciuto da molti maestri di retorica - il conquistatore pareva più interessato ai loro modi di combattere anziché alle loro pratiche e conoscenze culturali. Di contro, l'imperatore Claudio e i suoi successori fino ad Ambrosio Aureliano avevano cercato di sfruttare al massimo le conoscenze su quella terra, provando a trasformarla in una provincia vera, utile ai fini commerciali ed economici dei quali l'impero aveva bisogno per sopravvivere. Il casato dei Pendragon, nato dalle ceneri della guerra fra gli ultimi romani rimasti a difendere l'isola e le orde sassoni venute dal mare, aveva compiuto l'opera, trasformando quel luogo lontano in un regno fertile e pacifico. Uther stesso aveva richiesto i servigi di vari esperti, fra i quali Merlino era stato il vero protagonista. Ora, di quel che restava dell'antica dominazione rimaneva ben poco, ma i Britanni continuavano a muoversi, a pensare e ad agire come se fossero ancora parte di quel mondo. Dalle terre a nord del Vallo di Adriano arrivavano ancora mercanti e viaggiatori, venuti a sapere dell'avvento di un nuovo re. Portavano con sé oggetti molto preziosi più un carico di conoscenze che non pervenivano dai commentari o dai trattati conosciuti dai loro cartografi. Visto il calo della tassa di dogana che limitava l'aumento dei prezzi per entrare nelle terre romane, Artù aveva dato il via libera ad un via vai di persone venute da ogni parte del mondo. C'era chi sosteneva di aver intravisto, fra quelle genti, alcuni uomini colorati venuti dalla terra d'Arabia, dove il tutto era coperto da un infuocato deserto rosso. In quelle terre, carovane di cammellieri e di predoni vagavano liberi sotto l'egemonia di un popolo chiamato Arabi. Diversi dai Persiani che avevano dominato quelle terre per secoli e secoli, gli Arabi erano diversi. Abili nel combattimento corpo a corpo, ingegneri capaci di creare splendide macchine belliche e sommi cultori di un sapere raffinatissimo che copriva tutte le arti. Dalla cultura letteraria fino alla sottile arte medica e astronomica, gli Arabi stavano influenzando tutto il mondo conosciuto con il loro sapere. Eppure, le loro usanze erano ancora oggetto di ripudio da parte della chiesa occidentale che vedeva in loro dei pericolosi nemici. Lo stesso papa e i suoi cardinali li consideravano dei miscredenti e degli eretici sanguinari, dediti all'omicidio e alla distruzione. Tutto il contrario rispetto a quanto raccontavano i carovanieri giunti fino in quelle terre a commerciare con loro. Artù stesso aveva sentito diverse storie sia da una parte che dall'altra. Gaius, il suo scrivano di fiducia, lo aveva ammonito dal prendere tutto con leggerezza, spingendolo alla curiosità e alla verifica personale. Per una volta, lo stesso Merlino era stato d'accordo con quel vecchio gufo nel considerare quella la migliore delle scelte da compiere da parte del giovane sovrano. 

Dalle mura di Camelot si levavano diverse voci e gridi. La gente che risiedeva nelle vicinanze delle torri del palazzo reale sentiva il rumore venire dalle cucine e dalle stalle, dove i cavalieri del re si allenavano di continuo. Lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli e le urla di incitamento dei loro padroni arrivavano fino alle mura di cinta che proteggevano la porta della città. Dalla porta decumana lungo la via principale fino al centro cittadino, il loro vociare faceva sentire i cittadini al sicuro mentre i bambini, con in mano le loro finte spade di legno, fantasticavano su quel mondo, immaginando di essere come quegli uomini valorosi. Dalle strade veniva di tutto. Gente che parlava di continuo, donne che cucinavano e preparavano il bucato, fornai al lavoro che preparavano il pane, uomini dei campi che uscivano con i loro muli per andare ad arare o a mietere il grano. Il tutto unito dalla semplicità e dalla bontà della gente comune, ignara dei pericoli che, al di là delle foreste, si stavano per abbattere su di loro. Dall'immensità del cielo, il sole sorto da qualche ora illuminava la valle, facendo brillare l'acqua del fiume e irridendo di calore la fitta vegetazione che si estendeva fino all'orizzonte, al di là delle colline che facevano da sfondo a quel paesaggio meraviglioso. Da quel sogno incantato, ogni tanto si liberava nel cielo un acuto stridio a segnalare la presenza di un falco cacciatore intento a braccare la sua preda. Dalla sua stanza privata, Ginevra contemplava quel paesaggio mozzafiato, immaginando di buttarvisi dentro e volare via insieme a quel rapace verso terre sconosciute. La dolce regina si era alzata da qualche ora dopo aver dormito un poco. Dopo la giornata di ieri nella quale il re suo marito non aveva potuto riceverla, la ragazza ora si ritrovava di nuovo sola nella sua stanza insieme alla sua vecchia nutrice, Ninive. L'anziana donna non l'aveva mollata un secondo da quella mattina e, come sempre a quell'ora dopo il suo risveglio, si era messa a svolgere le sue mansioni quali rifare il letto e pettinarle i capelli davanti allo specchio della sua stanza. Ginevra non era dispiaciuta delle attenzioni che le riservava la vecchia, ma al contempo sentiva che qualcosa fra loro era cambiato. Ninive era diventata più intraprendente e le ripeteva di continuo le stesse domande. Tutto ciò parve agli occhi della regina che la donna fosse interessata a qualcosa. Qualcosa che riguardava da vicino il giovane re. Ma Ginevra, se pur nella sua innocenza, non si era data per vinta e aveva sempre tenuto al sicuro i segreti che condivideva con il marito, fuori e dentro il talamo nuziale. Ma la nutrice non mollava la presa e non sembrava intenzionata a dargliela vinta. Quella mattina però la regina aveva sempre cercato di virare la conversazione altrove, senza mai permetterle di avvicinarsi all'argomento. 

Artù e Ginevra. L'amore dietro la LeggendaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora