Capitolo 17 - Il destino della Britannia

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Nella sala c'era una grande confusione. Un vociare continuo fra i presenti che Artù aveva convocato secondo i desideri di Merlino. Tutti stavano prendendo posto sui loro scranni, ma del mago ancora nessun segno. Merlino era solito comparire all'improvviso, senza avvisare nessuno del suo arrivo o di una sua partenza improvvisa. Artù aveva accettato da tempo ormai questa cosa. Le abitudini del suo maestro erano insolite e questo lo sapeva fin troppo bene. Ma non si poteva chiedere ad un mago quali fossero le sue abitudini tanto meno le sue continue assenze nei momenti più delicati. Merlino era anziano e la sua conoscenza del mondo andava ben oltre le questioni mortali. Il sapere magico che viveva in lui era potente e Artù ne aveva assistito spesso nei suoi anni di apprendistato presso il feudo del suo maestro. Non ricordava quasi nulla della vecchia Avalon e delle sue coste verdeggianti. Il feudo era passato di mano da quando Merlino aveva scelto di prestare i suoi servigi alla causa dei Pendragon, istruendo l'unico figlio in vita del defunto grande re di quelle terre. Uther non era mai stato ad Avalon e, come i grandi sovrani devoti al nuovo dio cristiano, diffidava dalle pratiche arcane custodite dagli antichi Druidi, i sacerdoti pagani di quella terra. Ma questo non gli aveva impedito di affidarsi al sapere del grande mago quando gli fu necessario per salire al trono dell'isola. E, più di una volta, la sapienza di Merlino era stata la pedina decisiva per far sì che il casato del Drago si impadronisse di ogni cosa. Uther era stato molto fortunato, mentre Artù ancora sentiva di dover dimostrare di più al suo popolo per meritarsi il titolo di sovrano. Come dux bellorum aveva dimostrato di essere in gamba e la vittoria sui Sassoni qualche anno prima aveva gettato più luci che ombre sul suo diritto a regnare. La conferma, venuta dalla spada Excalibur al momento del loro incontro, aveva messo a tacere ogni dubbio, se pur qualche nobile ancora diffidava di quelle dicerie, ritenendole l'ennesimo sortilegio offerto da Merlino per placare gli animi di coloro che ancora dubitassero della discendenza reale alla quale apparteneva il suo protetto. Dal canto suo, Artù non aveva deciso di seguire subito le orme di suo padre, dando dimostrazione di essere umile e di servire il popolo prima anziché le proprie aspirazioni. Un segno che venne subito reso pubblico dall'acquisizione di un nuovo stemma di guerra, l'Orso al posto del drago rosso di suo padre. Un animale feroce, ma al tempo stesso protettivo che faceva della sua mole lo scudo contro il quale proteggersi dagli attacchi. Ad Artù quel racconto era sembrato perfetto per scegliere il modo migliore di presentarsi ai suoi uomini sul campo di battaglia e condurli alla vittoria. Anche in questo Merlino non si era sbagliato. Ma ora le cose erano ben diverse. Il sospetto di Merlino si era avverato: i diavoli del nord stavano tornando. E questa volta non erano di passaggio, ma cercavano vendetta contro Camelot. L'ultimo avamposto romano in difesa di una terra ormai dimenticata. I baluardi posti ai confini delle terre a nord - in quel lembo di terra rimasta in mano a popolazioni bellicose come i Caledoni - non sembravano resistere all'orda Sassone che si spingeva verso il centro dell'isola. I Caledoni non erano semplici contadini e cacciatori come spesso i romani amavano definirli nei loro racconti. Ma, se dei guerrieri così feroci e dediti alla battaglia quanto alla cura dei loro confini stavano crollando così velocemente, significava che i Sassoni dovevano essere giunti in Britannia con tutti i loro eserciti. E questa volta l'orda del drago nordico si sarebbe abbattuta con una ferocia inaudita che, forse, nemmeno Camelot ne sarebbe uscita indenne. Artù era corso ai ripari subito, rafforzando la sorveglianza ai confini della Cornovaglia, ponendo di guardia alcuni presidi militari fra i suoi cavalieri e i civili che fossero in grado di impugnare una spada o qualsiasi arma possibile. Inoltre, dietro consiglio di Gaius, aveva inviato messaggeri oltre Manica, sperando nell'appoggio dei re Franchi o di Roma stessa al fine di rafforzare le proprie fila e presentarsi ai Sassoni così come quell'orso feroce che il suo popolo ora adorava. Ma ancora nessun segno, né dal papa né dai sovrani in Europa. Segno che l'Italia ancora desisteva dall'appoggiare un giovane ragazzo, divenuto re troppo presto e senza alcun appoggio militare importante. Il Santo Padre non era uno sprovveduto e se pur fosse a capo della chiesa d'Occidente, disprezzava i sovrani barbari che ora detenevano il controllo in Europa. Franchi e Britanni rimanevano per lui semplici soldati divenuti troppo feroci, mentre in Oriente sopravviveva ancora il restante Impero d'Oriente con a capo il giovane Giustiniano, divenuto imperatore pochi anni prima di Artù. Anche a lui erano stati mandati messaggeri ai fini di stringere un'alleanza, ma senza successo. La sua risposta era ben lontana, segno che il sovrano orientale era ancora occupato a riunire ciò che rimaneva del vecchio impero a Occidente, in mano ai sovrani Ostrogoti e dilaniato da anni da guerre interne. Questo non era stato un buon inizio e il re lo sapeva. Segno che l'Europa temeva i costi di quella guerra e l'appoggio ad un giovane sovrano, ancora con poche vittorie, non garantiva un appoggio sicuro ai fini della salvezza per sé e per i loro regni in futuro. In questo Artù si pentì di essere ancora un ragazzo e di essere disposto a scendere in guerra anche subito per zittire quelle voci. Ma pianificare una guerra non era cosa semplice, specie contro un nemico tanto potente e del quale ancora poco si conosceva. Merlino era stato chiaro: non prendere ancora nessuna decisione definitiva, ma attendere il suo arrivo al calar del sole, insieme ai suoi cavalieri e ai vassalli nella sala del trono del castello. L'ora giusta stava giungendo e Artù se ne accorse quando il sole iniziò a tramontare oltre le montagne. Camelot presto sarebbe stata coperta dal manto nebbioso che ogni sera si posava su di essa come una coperta trasparente, facendo sì che la città si addormentasse. Ma quella notte nessuno avrebbe dormito. C'era una guerra da pianificare. E Artù stava diventando impaziente. 

Artù e Ginevra. L'amore dietro la LeggendaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora