11- Aliissa [Revisionato]

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Va bene. Ero a Roma. Dovevo solo trovare il covo dei giganti. Un semplice incantesimo di localizzazione e il gioco era fatto.
E allora perché continuavo a fissare davanti a me, in preda al terrore?
Avrei davvero lasciato andare questi ragazzi nelle grinfie di quei due mostri svitati, mentre io me ne lavavo le mani? Volevo veramente quello?
«Allora.. cosa facciamo?» chiese Percy guardandomi.
«I-io..» scossi la testa e feci un grosso respiro.
"Calmati Aliissa. Non devi avere stupidi ripensamenti per un gruppo di stupidi semidei". Strinsi la mia collana, come facevo sempre quando ero nervosa, e rilassai le spalle. «Devo localizzare dove sono i giganti. Mi ci vorrà un po', la città è enorme. Potete farvi un giro nel mentre. A meno che la figlia di Atena non voglia rimanere qua a controllarmi» le lanciai un'occhiata acida e lei serrò la mascella furiosa.
Non mi andava proprio a genio quella ragazza.
«Aliissa, lei deve compiere un'altra impresa» spiegò pazientemente Jason fissando prima me e poi lei.
Aggrottai la fronte ma non dissi nulla. Meglio così. Non avrei avuto troppi bastoni tra le ruote.
«Okay. Diciamo di ritrovarci qua alle tre?» fissai le loro facce che erano tutte puntate verso Annabeth in un muto addio.
Sbuffai irritata e mi allontanai dal gruppo.
Come facevano a sopportarla?
Mi arrampicai fino in cima all'albero maestro e mi sedetti sulla vedetta.
La vista era bella. Non quanto quella aerea, ma ti faceva sentire comunque minuscolo davanti all'espansione così elevata della città.
Socchiusi gli occhi e sentii il pizzicore della magia sotto pelle.
Mi concentrai sull'immagine dei due giganti e immaginai di passare velocemente tra le vie di quella città.
Riaprii gli occhi dopo un minuto.
Non ero riuscita a trovarli.
Mi asciugai il sudore dalla fronte e mi passai la mano tra i capelli. Come pensavo la città era troppo grande per un semplice incantesimo.
Abbassai lo sguardo sul ponte e vidi che il gruppo si stava dividendo.
Nessuno mi aveva più rivolto la parola.
Meglio così, mi ripetevo.
Ma il mio stomaco non sembrava d'accordo. Era stretto in un nodo doloroso. Lo ignorai e sfiorai la collana che si trasformò in un violino. Se mi dovevo concentrare, la musica era l'arma migliore.
Così mi rilassai e iniziai a suonare, socchiudendo gli occhi.
Rividi nella mia mente le strade di Roma e poi i due giganti. Ma non riuscivo a capire dove fossero.
Si trovavano in un locale dal soffitto basso, c'era buio ed era strapieno di cose strane, di quelle che solitamente utilizzavano per mettere in atto uno dei loro spettacoli.
Lanciarazzi, un'idra ingabbiata, scenari in cartone e poi eccola lì, la giara enorme di bronzo.
La visuale si catapultò dentro la giara dove c'era un ragazzino raggomitolato su se stesso.
Non si muoveva.
Sobbalzai e lasciai andare il violino, come se scottasse.
Aprii gli occhi, ma non vidi la nave o il profilo dei tetti delle case di Roma, vidi tre colonne bianche posizionate ad angolo con un monumento dietro costituito da file di archi sovrapposti, tipo il Colosseo.
Poi una voce parlò, forte e chiara, nella mia testa.
"Ti aspetto".
L'avrei riconosciuta ovunque.
Era la stessa che mi tranquillizzava quando avevo gli incubi e mi cantava la ninna nanna tutte le sere, da piccola.
Il sole aumentò la sua intensità. Non riuscivo a chiudere gli occhi, sentivo le pupille andare in fiamme. Portai le braccia davanti al viso, ma continuavo ad essere accecata da quella luce così intensa.
Urlai.
Poi tutto tornò normale e mi accorsi di star cadendo nel vuoto.
Se non fosse stato per il satiro, sarei morta spiaccicata sulle assi del ponte.
«Uh, non sei un peso piuma, pasticcino»
Arrossii violentemente e mi alzai in piedi.
«Scusi, ho perso l'equilibrio»
Il satiro mi lanciò un occhiataccia ma non disse nulla.
Piper e Jason mi corsero incontro preoccupati.
«Come stai?» mi chiese Piper trafelata. «Ti abbiamo visto cadere dall'albero maestro. Cos'è successo?»
Abbassai lo sguardo sulle mani.
«Ho avuto delle visioni» borbottai mentre mi stuzzicavo una cicatrice sul polso. «Ho visto i giganti, ma non ho capito dove si trovano» guardai dappertutto tranne che loro.
Quella voce mi stava facendo impazzire.
A quel punto arrivò anche Percy.
Lanciai un'occhiata veloce all'ora.
Erano di già le due e mezza.
Cavolo, come aveva fatto a passare cosi velocemente il tempo?
«Scoperto qualcosa?» chiese il figlio di Poseidone.
Scossi la testa.
«Piper, puoi usare il tuo pugnale?» chiese a quel punto Jason.
Lo fissai curiosa.
«Il mio pugnale a volte, mi fa vedere delle cose che succedono o che stanno per succedere» mi spiegò Piper.
«Figo. Posso provare?»
La figlia di Afrodite mi passò l'arma. Fissai la lama e per un attimo non successe nulla. Poi un'immagine vi comparì. Vi erano dei resti antichi di un foro, poi l'immagine cambiò e fece vedere una stanza circolare. Piper sussultò, ma me ne accorsi solo io.
«Credo sia questo il posto che cercate» dissi mostrando la lama del pugnale ai due ragazzi che ora rifletteva l'immagine del foro.
«Io ci sono passato prima. È vicino. Possiamo andarci benissimo a piedi» disse Percy.
Nei suoi occhi passò una scintilla di dolore. Scommisi che ci era passato con Annabeth.
Anuii debolmente.
«Bene, allora è il momento degli addii. Ma dove sono gli altri?».
Feci finta di essere tranquilla, anche se il mio stomaco si stava annodando tutto.
Non sapevo se era perché stavo per andare dall'uomo che un tempo era stata tutta la mia felicità o perché avevo paura per la sorte di quei semidei.
Optai per la prima.
Non potevo permettermi di legarmi così tanto a qualcuno.
«Aspetta, addii? Tu non vieni con noi?» Jason mi fissava, perplesso.
«No, non posso. Ho.. ricevuto una chiamata. E poi non saprei controllarmi se rivedessi gli orribili volti di quei giganti. Potrei diventare un mostro o peggio. In più, l'impresa è vostra. Io non c'entro nulla con voi» gli rivolsi un sorriso forzato e saltai giù dalla nave.
«Buona fortuna e non morite, mi raccomando» feci per voltarmi ma un pensiero improvviso mi bloccò. «E, ehm.. dite a Di Angelo che..» sospirai «che mi dispiace, che ha tutte le ragioni del mondo ad avercela con me, ma non volevo abbandonarlo, anche se l'ho fatto».
Diedi le spalle ai tre semidei prima che potessero dire qualcosa e corsi via.
Era la verità. Non volevo abbandonarlo, ero stata presa all'improvviso.
Accantonai quei pensieri e mi concentrai sulla mia nuova meta: incontrare mio padre.

Il posto era proprio come l'avevo visto. Tre colonne bianche erano poste accanto al Teatro Marcello. Così aveva detto la guida inglese, vicino a me.
E quelle tre colonne erano i resti del tempio di Apollo.
Alzai gli occhi al cielo.
«Che coincidenza» sbuffai.
Mi avvicinai al complesso, non era nulla di che, ma sentivo una presenza molto potente.
«Papà?» mi tremò la voce mentre mi guardavo intorno alla ricerca della sua capigliatura spettinata bionda e del suo sorriso solare.
Non vidi nessuno che potesse assomigliare al dio del sole e mi accigliai.
Perché mi aveva fatto venire lì?
Mi appoggiai a un muretto e iniziai a battere il piede velocemente per terra, per scaricare il nervosismo.
Mi sentivo stupida. Avevo veramente creduto che lui volesse rivedermi ora che ero uscita dal Tartaro?
Probabilmente si era scordato di me già da tempo ed io facevo la figura della cretina, da sola, in mezzo a tutta quella gente.
Mi ero solo illusa, ecco.
«Siamo un po' impazienti eh?» rise una voce dietro di me.
Sussultai e mi voltai talmente velocemente che picchiai il gomito sul muro.
«Zio Bacco!»
Ero sconcertata ed ero sicura che potesse vederlo anche lui, leggendomi la faccia. «Cosa ci fai qui?» la mia voce risuonò un po' troppo acida.
«Volevo parlarti qualche minuto»
Lo guardai negli occhi ma era abile a nascondere i proprio sentimenti.
Sembrava tranquillo e rilassato, per niente in collera.
«Dov'è mio padre?»
Che avessi confuso la voce di Apollo con la sua? No, impossibile.
Avrei riconosciuto quella voce tra miliardi.
Persino quando ero nel Tartaro, la sua memoria era ancora nitida. Anche se non lo avrei mai ammesso ad alta voce.
«Tuo padre è un po' occupato al momento. Ha avuto una brutta discussione con Giove. Ma non mi preoccuperei di questo, se fossi in te.» Aggiunse velocemente quando vide che mi ero irrigidita.
«E di cosa dovrei preoccuparmi?»
Bacco sorrise, poi divenne improvvisamente serio, e quando parlò la sua voce era incredibilmente dura. «Di te stessa e delle scelte che fai.» mi fissò, ma non parlai.
Non sapevo proprio cosa rispondere.
«So cosa hai intenzione di fare e non è saggio. Tornare sull'Olimpo ora è impossibile, per te. Giove ti fulminerebbe non appena varcheresti la porta di casa.»
«Si, beh, non la considero più casa mia quella» dissi cercando di sostenere il suo sguardo duro e affilato.
«Davvero?» il dio rise come se avessi detto qualcosa di esilarante. «E quale sarebbe casa tua, ora?»
Incrociai le braccia al petto e sbuffai irritata. «Facile, non ce l'ho»
«Non hai intenzione di trovartene una?» il dio stava ancora sorridendo divertito e la cosa mi stava facendo saltare i nervi.
«Visto che non posso salire sull'Olimpo, cosa dovrei fare allora?»
Aveva rovinato tutti i miei piani ed ora ero disorientata.
Era irritante.
«Vai con i semidei, no? Aiutali. Tu sai qual'è la loro prossima meta. E in più, non ti farebbe male sai, provare a stare in una famiglia. Trovare una casa»
«Perché insisti con questa storia della casa?»
«Tutti hanno bisogno di un posto dove rifugiarsi quando tutto va male, dove stai bene e le tue preoccupazioni passano in secondo piano.»
Scossi la testa. «Forse io ho solo bisogno di essere lasciata in pace»
«Ora più che mai, tu hai bisogno di qualcuno che ti aiuti ad ambientarti in questo mondo così nuovo per te.»
La sua occhiata mi fece rimangiare cosa stavo per dire.
Mi guardai intorno, chiedendomi per quanto ancora sarei rimasta lì, tra i mortali. Alla fine tornai a guardare mio zio. «Ci penserò, ok?»
«Ti consiglio di farlo alla svelta. Hai meno di dieci minuti prima che quegli eroi vengano uccisi»
Un brivido freddo corse lungo la mia spina dorsale. «Uccisi da chi?»
Bacco iniziò a svanire. «Dai giganti. O da me. Dipende quanto mi faranno divertire. Spero di rivederti presto, mia cara.» L'immagine del dio svanì. Rimasi immobile a fissare davanti a me.
Cosa dovevo fare?
La risposta era ovvia, ma non riuscivo ad accettarla.
Come potevo stare con un gruppo di semidei senza sentirmi costantemente un pericolo per loro?
Avevo paura. Per me, per loro. Paura di non essere accettata per quello che ero veramente.
Mi guardai le braccia piene di cicatrici. Per la prima volta mi misero a disagio.
Come avrei fatto a nascondere il mostro che c'era in me?
Non potevo.
Lanciai un'ultima occhiata alle colonne bianche e mi voltai. Ma prima che potessi fare un solo passo, un grande sbatter d'ali richiamò la mia attenzione. Poi un nitrito.
Alzai lo sguardo e davanti a me vidi un splendido pegaso color sabbia, che sbuffava e nitriva contento. Trattenni il respiro e sentii le lacrime pungermi gli occhi.
«Papà».

La Figlia Dell' Olimpo- La Rinnegata [Percy Jackson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora