- Capitolo Ventidue -

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La fitta era partita dall'addome, come al solito

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La fitta era partita dall'addome, come al solito. Era qualcosa di scuro e di liquido, che si faceva strada tra le sue viscere, espandendosi in direzioni indistinte, finché non diventava un punto ben preciso – uno spillo, una lancia, una spada – e da lì si irradiava.

Aera sospirò. La sensazione era terribile, ma era anche un conforto. Significava che ciò che Kired le aveva fatto aveva lasciato tracce solo nella sua mente, e non nel suo corpo.

«Il sole sta sorgendo» notò Devjm, sorridente, felice di poter finalmente riposare.

Erano ancora seduti nella piccola radura vicino al ruscello. Avevano parlato, poi avevano smesso di farlo, e il silenzio che era nato era pacifico e accogliente. Non c'era stato bisogno di riempirlo con altri suoni.

Aera non disse nulla, ma si alzò e si avvicinò a uno degli alberi più giovani. Strappò due foglie da un ramo che ora era davanti al suo naso. Ne applicò una alla ferita che aveva al braccio, mentre si portò l'altra alla bocca, prendendo poi a masticare. Il sapore era amaro, ma non tanto quanto ricordava.

Nei sensi di Aera cominciava a farsi strada una nebbia sempre più fitta, che cancellava ogni cosa, prima tra tutte il dolore.

Sputò subito la foglia, prima che la sua vista si offuscasse troppo.

La ragazza raggiunse la sacca in cui tenevano il cibo e le coperte, e ne estrasse un panno di lana bianco. Devjm la seguì con lo sguardo mentre lei andava ad appartarsi dietro un albero vicino. Capì che sarebbe stato inopportuno continuare a guardare quando sentì il suono di una cintura che si slacciava.

«Tutto bene?» Devjm non trovò il modo di porre la sua domanda in un modo che non suonasse scortese.

«Non sbirciare!» biascicò Aera.

Si rimise in piedi, fece del suo meglio per non barcollare, e tornò a sdraiarsi sulla sua coperta, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo. Si sentiva molto meglio, ora.

«Starò male per un giorno o due» annunciò la ragazza. «Camminerò comunque, ma avrò bisogno di fermarmi e prendere delle foglie di Wass, ogni tanto, quindi...» Lasciò la frase in sospeso. Non sapeva che cosa voleva dire, o forse se n'era dimenticata. L'effetto delle foglie, unito al sonno, era estenuante.

Si maledisse per essere stata così avventata. Non poteva permetterselo. Non avrebbe dovuto prendere quella maledetta foglia. Ora, oltre che indebolita fisicamente, era anche stordita dalla linfa. E il dolore dei crampi non poteva valere il rischio di lasciare la via libera a Devjm. Era meglio soffrire ma essere pronta a reagire. O forse lo stava pensando solo perché in quel momento il dolore sembrava così lontano da essere quasi trascurabile.

Devjm annuì, intuendo quale fosse il problema. Tuttavia, una curiosità gli rimaneva. «Se per caso mi facesse male un piede, le foglie di Wass potrebbero aiutare?» domandò.

Aera mugugnò qualcosa, e fece cenno al proprio braccio sinistro, dove ancora era appiccicata una foglia, ma poi si costrinse a rispondere in maniera più intelligibile: «Devi metterle sulla ferita e premere un po'. La linfa allontana il dolore.»

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