- Capitolo Ventinove -

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Sia Reyns che il cavallo erano stremati quando, a notte fonda, raggiunsero lo strapiombo che precedeva il tunnel del monte Ymif, ma dei due, quello che più si era lamentato per la stanchezza era senza dubbio il destriero

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Sia Reyns che il cavallo erano stremati quando, a notte fonda, raggiunsero lo strapiombo che precedeva il tunnel del monte Ymif, ma dei due, quello che più si era lamentato per la stanchezza era senza dubbio il destriero.

Il ragazzo scese dalla sella, indolenzito, e diede un'occhiata allo stato del ponte che avrebbe dovuto attraversare; erano assi di legno marcio tenute insieme da una corda sfilacciata. Ciononostante, cominciò a camminare in direzione del precipizio.

Il cavallo nitrì, come a pregarlo di fermarsi, o di tornare indietro.

«Sì» sospirò Reyns, come in risposta a un vero e proprio discorso. Si voltò e si avvicinò al cavallo. «Ti ho costretto a superare un fiume e ti ho fatto correre per una buona metà della Valle Verde... Non posso chiederti di più» si rivolse poi alla bestia, accarezzando il suo muso.

Se ancora erano rimasti dei minatori, nel tunnel, avrebbe chiesto a loro di occuparsi del cavallo. Di portarlo a Lyrja, magari.

Si allontanò lasciando l'animale a brucare tranquillo, e si sedette con le gambe a penzoloni sullo strapiombo. Inspirò profondamente, e i suoi polmoni si riempirono di un'aria umida, dall'odore salmastro. Rimase per un po' a guardare in basso, gli occhi che assaporavano quel vuoto, quello che sembrava il nulla, ma che forse era il mare, coperto da una nebbia fitta.

Quel salto avrebbe significato morire, ma qualcosa lo rendeva sicuro che non avrebbe incontrato la Morte. Non ancora.

Che cos'era che lo teneva in vita?, continuava a chiedersi. Che cos'era che gli dava la vita? Era l'amore che provava per Aera, qualcosa di così elementare e semplice? Oppure era la paura di perderla, forse un sentimento ancora più radicato nei suoi istinti? Forse entrambe quelle sensazioni, mescolate a dovere, lo facevano sentire per la prima volta nella sua vita davvero vivo, perché aveva un obiettivo che sarebbe stato fiero di raggiungere, perché era sicuro di percorrere la strada giusta.

Aveva sbagliato tante volte, troppe volte. Aveva sbagliato tutto. Ed era arrivato il momento di dire basta a tutto ciò.

Il vento soffiò, freddo, ricordandogli uno dei suoi imperdonabili errori – quello di togliere la vita a Zalcen.

Reyns estrasse dal fodero il pugnale che aveva sottratto al ragazzo, quando ancora stava fingendo, quando ancora era qualcun altro. Quando ancora non era nessuno.

L'unica arma che Reyns portava ancora con sé era una daga rubata dal cadavere del ragazzo che aveva ucciso. Il giovane combatté l'impulso di gettare l'arma nel vuoto e lasciare che la nebbia la ingoiasse, ma prese al contrario ad accarezzarne con cautela i contorni, e lesse la scritta, in lingua Antica, sulla lama. Souro hyor Zalcen tentou. Veloce come il vento.

«Perdonami» disse il ragazzo al vento. «Non mi nasconderò dietro ad altre bugie. Non dirò che non sono stato io a ucciderti, Zalcen. Anche se dentro di me sento di essere cambiato, di essere una persona completamente diversa, sono stato io a scoccare quella freccia.

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