- Capitolo Quaranta -

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Aera non credeva ai suoi occhi, e neanche Devjm, ma mentre per la ragazza questo significava che tutto sarebbe potuto essere come aveva sempre desiderato, il giovane Ladro innamorato vedeva il suo sogno infrangersi in mille pezzi

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Aera non credeva ai suoi occhi, e neanche Devjm, ma mentre per la ragazza questo significava che tutto sarebbe potuto essere come aveva sempre desiderato, il giovane Ladro innamorato vedeva il suo sogno infrangersi in mille pezzi.

«Reyns? Sei tu? Sei proprio tu?» chiese Aera, immobilizzata davanti a quella che era la realizzazione di un sogno che mai avrebbe avuto il coraggio di rincorrere. I suoi occhi vuoti si riempirono di lacrime.

«Sono io, Aera,» la rassicurò mostrando il Ciondolo dell'Aquila, «Sono qui. Sono vivo, ed è solo grazie a te!»

Le camminò incontro, con cautela, come se avesse paura che svanisse, se si fosse avvicinato troppo velocemente. Ora aveva raggiunto il suo scopo ultimo, aveva trovato tutto ciò che credeva di aver perduto per sempre. E, dopo quel lungo viaggio, si sentiva a pezzi, ma sapeva che erano frammenti che Aera avrebbe raccolto, e rimesso insieme, rendendolo completo.

La ragazza si lanciò tra le sue braccia, e pianse lacrime di felicità, di ringraziamento per chiunque fosse stato a portare Reyns davanti a lei, non più un fantasma che vedeva dietro ogni angolo, ma un giovane vivo e reale, che la stringeva in un abbraccio sincero.

Devjm si limitò a ritirarsi in un angolo, ad accovacciarsi, con la testa tra le mani, incapace di alzare lo sguardo, cercando di non piangere, senza riuscirci.

Perché? La domanda continuava a ripetersi, nella sua testa, È perché mi sono allontanato dai miei ideali, quando ho scoccato quella freccia? Ma l'ho fatto per un motivo nobile, o almeno credevo. Perché Reyns è felice? Perché sono stati perdonati tutti i suoi peccati? Perché sono l'unico che non può permettersi di sbagliare?

Devjm aveva reso così tante persone felici, che ora non riusciva a capire perché, anche dopo tanti sforzi, rimanesse solo e triste. Continuava a chiedersi che senso avesse continuare ad essere gentile, mentre un assassino si stava portando via Aera.

Non capiva che cosa stesse aspettando. Tutti i giorni si alzava per vedere l'alba, prometteva ad Axor che si sarebbe impegnato ad essere il Devjm che voleva essere, e non si rendeva conto che stava vivendo proprio per quello. Viveva per quel momento della giornata, dove si avvicinava a ciò che rimaneva della sua famiglia – una mattina, costretta a sparire, effimera. La rugiada, il sole... L'alba.

In quel momento, Devjm non si rese conto che poteva rendere l'alba la sua famiglia, di nuovo. Continuò nella ricerca di una ragione per tutto ciò che di male gli stava accadendo in quel preciso momento. Ma, a volte, gli Dei hanno in serbo per noi dei momenti bui in modo che possiamo apprezzare le piccole felicità che ci offrono in seguito. Devjm preferì credere in quello, e le lacrime smisero di cadere.

Talvolta invece gli Dei preferiscono condannare qualcuno alla sofferenza, senza apparente motivo, se non quello di dilettare se stessi. Altre, sembrano favorire e benedire qualcuno, forse scelto a caso, forse seguendo criteri che gli umani non possono nemmeno immaginare.

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