Portachiavi a quadrifoglio

206 21 4
                                    

«Andiamocene e inventiamo una scusa» ritento.

«No! Voglio i regali!» uggiola Feli, dal suo seggiolino. Da sbuffa, si slaccia la cintura e scende dalla macchina. Perfetto, non posso defilarmi. Scendo anch'io, perché ormai è inutile combattere. Faccio scendere la peste che inizia subito a saltellare sul marciapiede. «Regali! Regali, regali! Voglio i regali!» esclama. Da recupera le borse dal bagagliaio, poi chiude la macchina e scuote la testa.

«Sai, vero, che la mamma e il papà di Dado non ti faranno un regalo a Natale?» gli chiede, retorico. «E che il nostro è un pensierino piccolo e i regali grandi arrivano, appunto, a Natale?»

«Certo che lo so! Ma voglio i regali!» continua, felice come una Pasqua. Suoniamo al citofono, io con aspettative zero, Felice totalmente assuefatto dall'euforia, Da in modalità "uomo responsabile", ruolo che non gli si addice più di tanto. Si prospetta una serata piena di terrorismo psicologico da tutte le parti.

«Cerchiamo di non fare le bestie, hai capito, Feli?» lo riprende Da, prima di aprire il portoncino. «Non si grida, non si corre, non si fanno troppe storie, non si stressa continuamente per i regali e ci si comporta educatamente, ci siamo intesi?». Il pargolo annuisce, allora Da apre il portoncino e, come se non avesse parlato, il bambino schizza dentro e si arrampica sulle scale come uno stambecco. Lo seguo, velocemente e arrivati al pianerottolo, è già pronto a imboccare un'altra rampa di scale.

«Ma dove vai, piccolo? È qui» lo richiamo. Lui mi raggiunge, spalanca la porta socchiusa e sta per entrare che lo blocco. «Hey, hey, le scarpe». Al che, se le toglie senza nemmeno slacciarle, le lascia sullo zerbino e corre dentro casa, gridando "regali".

«È un piacere essere ascoltati dal proprio figlio» brontola Da, seguendolo sconsolato. Ridacchio e mi chiudo la porta alle spalle, trovando l'ingresso vuoto e silenzioso, se non fosse per le altre stanze brulicanti. E Felice, che sembra intenzionato a smontare casa. Il primo che compare dalla porta della cucina è papà, subito assaltato da Feli.

«Ciao! Abbiamo i regali! Dov'è il mio?». Bene, siamo già al ricatto. Papà, fierissimo di fare la sua parte da "nonnastro", cerca di rispondergli.

«Feli, che cosa ho detto letteralmente due minuti fa?» tuona Da, interrompendolo. «I regali dopo cena. Non stressare.». Felice si imbroncia, vola in cucina sotto gli sguardi attoniti di tutti, per poi tornare subito dopo.

«Convinci Dado a farmi un fratellino!» esclama a papà. Rieccoci con la storia del fratellino.

«Dai, vieni, niente fratellini, ne abbiamo già parlato» brontolo, prendendolo per mano e portandolo in cucina.

«Ma perché no?»

«Te l'ho già detto, la cicogna non vuole»

«Io lo so che la cicogna è una bugia...» piagnucola. «Margherita avrà una sorellina e la sua mamma è super cicciona perché tiene la bambina nella sua pancia. Tieni il mio fratellino nella tua pancia e poi lo fai nascere». Io sobbalzo sgranando gli occhi, Dario scoppia a ridere, la mascella di papà cede e mamma si copre la bocca per contenere la risata. Il suo discorso dettato dall'ingenuità infantile ha scatenato una bufera. Ma cavolo.

«Ma Dado non può tenere nessun bambino nella pancia, solo le ragazze possono...» precisa Da, asciugandosi delle finte lacrime. Feli sbuffa, contrariato, poi si guarda attorno e forse capisce che non è il caso di piantare grane. Sospiro, sollevato perché ha lasciato perdere.

«Dai, ti va di aiutarci a cucinare? Ti piace quando siamo a casa, no?» gli chiedo. Annuisce, allora lo prendo in braccio e lo metto sul bancone, di fianco ai fornelli, approfittandone per salutare mamma e le nonne. Sempre tenendo un occhio su Felice prima che metta le mani dentro alla tajine, perdendole definitivamente.

I'm AlrightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora