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Jorge

Era indecisa e questo sembrò per qualche secondo una buona, se non ottima, notizia.

- No, mi dispiace - mormorò però alla fine, facendomi sprofondare di metri e metri. Cosa voleva dire no? E qua ti no avevo ricevuto in quegli ultimi anni? Pochissimi e sinceramente non ero abituato.

- Perché no? - domandai, incredulo, avvicinandomi a lei ancora di più. Perché non voleva ascoltare? Cosa aveva da perdere?

- Perché non avrebbe senso... proveniamo da due mondi troppo diversi - tentò di tagliare corto lei, cercando di superarmi per entrare in casa, ma glielo impedii. Con delicatezza le presi un polso, facendolo fermare davanti a me.

Aveva gli occhi lucidi e il volto scavato e pallido come mai. Poteva fare concorrenza alla luna per bellezza.

- Non mi interessa... e non sembrava interessare neanche a te... - sussurrai, vedendola nuovamente tentennare. Sapeva che avevo ragione, che quella era solo una scusa campata in un momento di debolezza. Aveva paura e ne avevo anche io, ma qualcosa mi spingeva a continuare a provarci.

Forse i miei compagni avevano ragione; ero cotto a puntino.

- Ho capito... ho sbagliato e ho agito senza pensare a te, ma non potevo sapere cosa hai passato - mormorai, vedendo i suoi occhi saettare su di me immediatamente. Alessia si irrigidí ancora di più, perdendosi nuovamente nei ricordi.

- Chi te l'ha detto... - chiese con voce tremante, andando a sfiorare quella cicatrice che avevo sentito solamente due giorni prima sulla sua pelle.

- Nessuno... mi è bastato mettere insieme i puntini... la cicatrice, la faccia quando hai visto i miei figli... - ammisi, facendole abbassare il capo. Quel nervo che stavo continuamente testando sembrava scoperto a dir poco.

- Mi dispiace... per ciò che hai passato e per ciò che ti ho fatto sentire quando ti ho chiesto di badare ai miei bimbi - continuai, vedendola mordersi la guancia con forza mentre il suo corpo cominciava a muoversi a scatti e sussultare.

Non mi piaceva quando le persone vicino a me piangevano, soprattutto perché non sapevo cosa fare e come reagire. Oltre al fatto che vedere qualcuno che stava male non era mai bello.

Con lei fu facile fare qualche passo e abbracciarla, stringerla e aspettare che posasse la guancia sul mio petto, lasciandosi andare a qualche singhiozzo e lacrima.

La tenni stretta tutto il tempo, facendole sentire la mia vicinanza e anche il mio dispiacere, lì dove era possibile.

- Mi dispiace - ripetei più volte, come un mantra. Ed era più che vero.

- Ti accompagno in casa - dissi nuovamente, prendendo dolcemente le chiavi dalle sue dita molli. Tenendola abbracciata aprii il portone e lo chiusi dietro di noi, cominciando a salire le scale lentamente, portandola dietro mentre lei sembrava calmarsi ad ogni passo.

Erano state lacrime di frustrazione e di dolore, ma ero contento che ora sembrava non esser più così arrabbiata con me.

Arrivammo sul pianerottolo e aprii la sua porta, entrando per accompagnarla fino al divano.

- Ti preparo qualcosa di caldo? - domandai apprensivo,  non ricevendo nessuna risposta a voce, ma solo un cenno del capo. Alessia, infatti, continuava a guardare davanti a se, come in trance.

Senza attendere altro andai in cucina e preso una tazza, la riempii di acqua e la misi nel microonde, facendola girare per trenta secondi prima di cercare qualche infuso nella credenza, trovando della camomilla. Perfetto, quello che ci voleva per calmarle i nervi. Presi una bustina e la immersi nel liquido caldo prima di tornare da lei e porgergliela.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 20, 2021 ⏰

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