Capitolo III

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Nico aprì gli occhi di scatto, la luce abbagliante che gli feriva gli occhi.
Si guardò intorno, sentiva i muscoli indolenziti e la spalla destra che pulsava fastidiosamente.
Era in una stanza luminosa, asettica.
“Bianca…” sussurrò.
No, Bianca era morta.
Ricordava la sua bara calata nella terra il giorno del funerale.
“Finalmente ti sei svegliato, incominciavo a preoccuparmi!” disse qualcuno in tono allegro, entrando improvvisamente nel campo visivo di Nico.
Il ragazzo fece per alzarsi ma sentì un’ improvviso strappo alla spalla e ricadde pesantemente sul lettino.
“Hey! Non fare idiozie, quegli stronzi ti hanno pestato per bene, non ti conviene fare cose avventate”
Merda. Il pestaggio.
Nico appoggiò la testa al cuscino con uno sbuffo chiudendo gli occhi.
“Comunque… tu saresti?” continuò l’ altro.
Il ragazzo aprì un occhio solo, guardandolo di traverso.
“Di Angelo” rispose freddo.
“Uhm…”
Nico contò mentalmente fino a dieci, durante quell’ imbarazzante silenzio.
“Che vuoi?” sbottò alla fine.
“Uhm… nulla… Io comunque sono..”
“Valdez” lo interruppe Nico svogliatamente.
“Oh allora mi hai sentito mentre ti portavo qui” disse l’ altro sorridendo.
“No, sei il ritardatario della lezione di Anatomia” rispose il ragazzo richiudendo gli occhi.
“Ah… Vero…”
Nico aggrottò le sopracciglia e si voltò per guardarlo.
“Mi hai portato davvero tu qui?” chiese con una punta di sorpresa.
L’ altro sorrise annuendo.
“Eh già! Eri messo davvero male dopo quella scazzottata con i tirapiedi di Brian” disse ridendo.
“Grazie per avermelo ricordato, i muscoli doloranti non erano abbastanza come promemoria” rispose stizzito.
Silenzio.
“Perché l’ hai fatto?” continuò allora Nico.
L’ ispanico lo guardò perplesso.
“Dovevo forse lasciarti in mezzo al giardino pieno di lividi e mezzo moribondo? Me lo terrò a mente” disse sbuffando.
“Eri con loro”
Loro, una parola che grondava di disprezzo.
L’ altro ragazzo strinse i pugni a disagio.
“Non mi piace stare con la gente che picchia gli indifesi inutilmente” disse alzando svogliatamente le spalle.
“Davvero credevi che non lo facessero? Sei seriamente così ingenuo?” rispose Nico con crudele sarcasmo.
L’ altro prese un respiro guardandolo negli occhi.
“Ti ho portato in infermeria invece che lasciarti là fuori svenuto, gradirei un minimo di riconoscimento” disse alterato.
“Grazie mille allora, ma la prossima volta evita di patteggiare per gli idioti per poi passare dalla parte degli sfigati” continuò Nico arrabbiato.
Leo sorrise amaramente.
“Sai credevo di farti un favore, la prossima volta ti lascerò lì, almeno non rischio la faccia come oggi” rispose alzandosi dalla sedia dell’ infermeria per andarsene, sbattendo la porta dietro di sé e facendo calare la stanza nel silenzio.
Il ragazzo allora sbuffò e prese un antidolorifico dal comodino, la spalla iniziava a dargli seriamente sui nervi.
***
Continuava a piovere, Nico si stringeva inutilmente nel giubbotto leggero per sfuggire al freddo che gli entrava nelle ossa.
Ma il freddo proveniva direttamente da lui.
La presenza alta e austera del padre di fianco a lui avrebbe dovuto tranquillizzarlo, calmarlo in qualche modo.
Ma gli dava solo la nausea.

“Bianca starà bene, Nico. Te lo prometto”
Il ragazzino chiuse gli occhi.
Lo aveva promesso.
Allora perché erano nel cimitero sotto la pioggia?
Perché erano ore che stavano immobili, davanti ad una delle innumerevoli lapidi bianche?
Perché su quell’ inutile pezzo di marmo era inciso il nome della sorella?
Nico strinse forte i pugni chiudendo gli occhi.
Sentiva il respiro pesante del padre affianco a lui, probabilmente sull’ orlo delle lacrime, ma non gli importava.
Lo aveva promesso.
Quando il ragazzo sentì anche i propri occhi pizzicare, ignorò il freddo e la pioggia e si sedette a terra, sull’ erba umida, portando le ginocchia al petto senza distogliere lo sguardo dalla lapide bianca.
Sentì su di sé lo sguardo indagatore del padre, ma lo ignorò.
Gli aveva mentito, lo aveva ingannato, aveva promesso senza mantenere.
Non gli importava più cosa pensasse di lui.

“La farò curare dai migliori medici. Lei vivrà, Nico. E’ una promessa”
Una promessa.
Una delle tante che Ade non aveva mantenuto.
Nico appoggiò la fronte sulle proprie ginocchia, soffocando i singhiozzi e stringendosi attorno le proprie braccia, per combattere invano contro il freddo che sentiva nel cuore.
Bianca era morta, lasciandolo solo per sempre.
Il ragazzo sentì improvvisamente la grande mano del padre posata sulla sua spalla.
Per anni aveva sognato quel contatto, sognato che Ade lo trattasse con vero affetto, come pensava che ogni genitore dovesse trattare i propri figli.
Ma la sensazione di amore, di protezione, non arrivò mai.
Solo disgusto verso l’ uomo che aveva promesso.
Verso l’ uomo che non aveva mantenuto.
Verso l’ uomo che aveva distrutto la sua famiglia.

Scrollò le spalle per allontanare la sua mano, rannicchiandosi ancora di più su sé stesso.
Cos’ avrebbe detto Bianca se l’ avesse visto in quel momento?
Gli avrebbe detto di stare con Ade, che era un padre buono e gentile anche se non sempre lo dimostrava.
Nico rabbrividì, le gocce fredde della pioggia sul suo volto che si mescolavano alle lacrime bollenti.
Ma Bianca non glielo avrebbe detto mai più.
Perché il padre non l’ aveva salvata.
Perché Bianca era morta.

“Te lo prometto”
Si era fidato di Ade.
Aveva creduto alle sue parole, si era illuso.
E ora tutto ciò che gli rimaneva era un pezzo di inutile marmo.

“Bianca di Angelo
     1993-2011”

Si era fidato.
Ma non avrebbe mai più commesso lo stesso errore.

***
Leo uscì dall’ infermeria sbuffando e imprecando.
Quel ragazzino idiota!
Lui aveva firmato la sua condanna a morte per aiutarlo e lo ringraziava in quel modo?
“Ma perché mai l’ avrò fatto poi?” si disse arrabbiato buttandosi lo zaino sulle spalle e uscendo dal campus.
Non sapeva rispondersi.
Non era certo il primo ragazzo che vedeva essere pestato, allora perché?
“Perché ero dalla parte sbagliata” si rispose cominciando a camminare verso la fermata del bus.
Non aveva certo voglia di assistere ad un’ altra ora di lezione, nemmeno se era il primo giorno.
Quando quella mattina aveva conosciuto i ragazzi della squadra di football, credeva di essere sistemato anche per gli anni a venire.
Sempre dalla parte dei popolari.
Ma anche lui era stato una vittima.
Leo aveva subito cattiverie, ingiurie e botte.
Di fronte allo spettacolo che gli avevano offerto quel giorno, non era riuscito a restare solo a guardare.
Era rimasto quelle che gli parvero ore, appollaiato su quella panchina ad osservare immobile il ragazzino che si contorceva sotto i colpi dei tirapiedi di Brian.
Senza dire nulla, senza mostrare quanto non riuscisse a sopportare quella situazione.
Alla fine aveva ceduto.
Vedere quel ragazzo, di Angelo, completamente indifeso e alla mercé di Chris e Dave, lo aveva fatto desistere.
Aveva rinunciato alla sua parte, aveva tolto la maschera per un istante, disapprovando pubblicamente le intenzioni di Brian.
Bruciandosi ogni possibilità di rientrare nel loro gruppo e mostrandosi come una possibile vittima.
Di nuovo.
E tutto questo per ricevere poi in cambio solo il disprezzo di quel ragazzino.
“Eri con loro”
Leo sbuffò.
Aveva ragione.
Di Angelo aveva ragione.
Ma non era certo giornata per chiedere scusa.
***
“Vuoi chiamare qualcuno? Tuo padre?”
“Io non ho un padre” singhiozzò Leo.
Il poliziotto lo guardò senza commentare.
“Se vuoi chiamare qualcuno, ti lascio il telefono qui. Io sarà meglio che vada a parlare all’ assistenza sociale”
Leo rimase qualche secondo immobile, dopo che l’ uomo uscì lasciandolo solo, poi prese il cellulare con mani tremanti e compose il numero che ormai conosceva a memoria.
“Pronto?”
La voce sicura di un ragazzo dall’ altra parte.
“Sono io” sussurrò il ragazzino, sull’ orlo delle lacrime.
“Leo? Cosa succede?” chiese preoccupato l’ altro.
Silenzio.
Non riusciva a parlare.
Se lo avesse detto ad alta voce, non avrebbe più potuto illudersi.
“Leo cosa c’ è? Stai bene?” continuò l’ altro.
“Mia mamma è morta, Beckendorf”
Un sussurro, nulla di più.
Ma lo aveva detto, aveva pronunciato quella frase, ora non poteva tornare indietro.
“Oddio… Dove sei ora?” chiese sempre più preoccupato il ragazzo dall’ altra parte.
“Alla stazione di polizia”
Leo sentì altre lacrime bagnargli il viso.
“Stanno parlando di assistenza sociale, io non voglio! Beckendorf non voglio che mi trovino un’ altra famiglia!” continuò tra i singhiozzi.
“Non ti muovere, sto arrivando” disse serio l’ altro ragazzo, per poi chiudere la telefonata.
Leo appoggiò di nuovo il cellulare sul tavolo e si coprì il viso con le mani continuando a piangere.
***
Beckendorf era arrivato.
Leo aveva sentito la sua voce non appena era entrato alla centrale, chiedeva di vederlo, ma evidentemente i poliziotti non glielo permettevano.
Poi una voce diversa, la voce di una donna.
“Charles, prima mettiamo a posto la situazione, prima lo potrai vedere”
Leo si alzò barcollante e appoggiò l’ orecchio alla porta chiusa per sentire di cosa parlavano.
“Mi scusi, quindi lei sarebbe?”
Il ragazzino riconobbe la voce del poliziotto che gli aveva dato il telefono.
“Sono Elena Beckendorf, conoscevo Esperanza” rispose la donna, un’ attimo di esitazione prima di pronunciare il nome della madre di Leo.
Il ragazzino chiuse gli occhi soffocando le lacrime e rimase ad ascoltare.
“Non capisco, signora, quindi vuole prendere in affidamento il figlio della signora Valdez?”
Leo spalancò gli occhi di scatto, troppo stupito per fare qualunque altra cosa.
“Sì, conosco il ragazzo da quando era in fasce, sua madre… era una mia carissima amica. Non posso permettere che si occupi di lui l’ assistenza sociale”
Il ragazzino si allontanò lentamente dalla porta e tornò a sedersi.
Sul suo viso segnato, appariva l’ ombra di un sorriso.

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