"Ti odio, Bianca!" urlò il ragazzino, fuori di sé dalla rabbia.
Non era vero.
Perché lo stava dicendo?
"Nico smettila" rispose calma la sorella.
"No! Tu devi smetterla! Smettila di trattarmi come un bambino idiota! Sono cresciuto e tu lo sai!" continuò il ragazzino irritandosi ancora di più.
"No, per come ti stai comportando ora non sei cresciuto per niente"
Nico iniziò a piangere dalla rabbia.
"E tu chi saresti comunque? Mia madre? No perché lei è morta! E tu non hai il diritto di trattarmi in questo modo!"
Un' alone di tristezza passò sul viso di Bianca.
Nico sapeva che la sorella era sempre stata per lui il proprio punto di riferimento, molto più del padre spesso assente.
Sapeva che Bianca lo amava anche più della sua stessa vita, che lo aveva sempre protetto e sostenuto.
Ma non ritirò nulla.
La guardò arrabbiato, perché ormai era cresciuto, ormai non aveva bisogno di tutte quelle assillanti attenzioni.
Non aveva più bisogno di lei.
"Andiamo a casa Nico" sussurrò lei, ferita.
Il ragazzino ringhiò esasperato e uscì senza aspettare la sorella.
Quando lei lo raggiunse, non lo guardò, non gli disse nulla, salì solo sullo scooter appena comprato dal padre e aspettò che Nico facesse lo stesso.
Il ragazzino si tenne suo malgrado a lei, mentre incominciava a piovere.
Senza sapere che per tutta la vita si sarebbe pentito delle proprie parole.
***
I tagli sul viso bruciavano ancora quando Nico uscì dall’ obitorio, le gambe tremavano appena per la stanchezza, i muscoli delle braccia erano ancora indolenziti e la testa gli girava.
Will aveva insistito per accompagnarlo a casa, ma lui aveva categoricamente rifiutato qualunque offerta di aiuto, da parte sua o di chiunque altro.
Aveva ignorato le occhiate preoccupate del ragazzo più grande, ma aveva acconsentito ad andarsene prima, soprattutto per evitare di svenire in mezzo ad una sala gremita di medici.
Ma no.
Non sarebbe tornato a casa.
Non prima che i tagli si fossero rimarginati e i lividi fossero almeno sbiaditi.
Ade lo aveva avvertito che quella sera, dopo quasi sei settimane, sarebbe stato a casa, e Nico non poteva permettere che il padre lo vedesse in quelle condizioni, non dopo ciò che era successo l’ anno prima.
Il ragazzo mise le mani nelle tasche dei jeans, tirandosi su il cappuccio nero e cercando di passare inosservato mentre barcollava appena per la strada.
Non si preoccupava che Ade avesse potuto arrabbiarsi e mandare qualcuno a cercarlo, sebbene avesse tranquillamente potuto.
Sapeva che lo avrebbe inteso solo come l’ ennesimo messaggio di non volergli stare nemmeno vicino, nemmeno sotto lo stesso tetto.
Non voleva che lo vedesse così.
Non voleva la sua preoccupazione, il suo conforto o anche solo incrociare il suo sguardo.
Non voleva la sua compassione.
Si avviò lentamente verso la casa di Hazel, nella parte più povera della città rispetto a dove si trovava l’ obitorio o la casa del padre.
Hazel, la sorellastra che solo due anni prima aveva scoperto di avere, che Ade non gli aveva mai rivelato esistesse, che il padre cercava di rinnegare con tutte le proprie forze, che non aveva mai aiutato, né lei né la madre.
Sapeva che lei lo avrebbe ospitato, non sarebbe certo stata la prima volta.
La sorellastra era l’ unico contatto umano degno di nota nella vita di Nico, l’ unica persona che gli parlava oltre ad un saluto di circostanza, l’ unica persona di cui il ragazzo sapeva di potersi fidare.
Con Marie, sua madre, invece non parlava.
La donna era stata abbandonata da Ade, che l’ aveva lasciata da sola con una figlia da crescere e diversi problemi economici mentre lui era pieno di soldi.
Non era difficile capire la diffidenza con cui trattava Nico, essendo cresciuto con lui.
Il ragazzo si fermò di scatto a pochi isolati dalla casa di Hazel.
“Guarda un po’ chi si rivede!”
Nico avrebbe riconosciuto ovunque quella voce.
Era Brian.
Si avvicinò cautamente all’ angolo del vicolo, reprimendo a stento l’ istinto di andarsene e basta.
Sbirciò velocemente senza farsi notare e vide un ragazzo alzarsi di scatto ed indietreggiare.
Lo riconobbe all’ istante.
Era Valdez.
***
Leo continuò ad allontanarsi lentamente, gli occhi spalancati, alla disperata ricerca di aiuto.
Non era mai stato fatto per gli scontri diretti, non sapeva difendersi ed era sicuro che non gli avrebbero certo fatto sconti perché lo conoscevano.
Scappare.
Sì, doveva scappare.
Era l’ unico modo per non uscirne come Di Angelo quella mattina, o forse anche peggio.
Leo si guardò attorno, camminando non si era nemmeno accorto di essersi allontanato così tanto dall’ officina.
Non conosceva molto quella zona, era troppo malfamata perché Beckendorf ce lo portasse.
Se fosse solo corso via senza sapere dove andare lo avrebbero raggiunto senza fatica, ma non gli sembrava di avere molte alternative.
Uno dei ragazzi, Dave gli sembrò di ricordare, si avvicinò a lui ghignando.
“Che è successo stamattina Valdez? Eri preoccupato per il tuo amichetto sfigato?”
Leo strinse appena i pugni senza abbassare lo sguardo.
Forse era davvero arrivato il momento di fermarsi.
Di non scappare.
Di affrontare le avversità.
Anche perché il ragazzo era pienamente consapevole del fatto che, in un modo o nell’ altro, lo avrebbero picchiato.
Prese un respiro e indossò l’ espressione più tranquilla che gli riuscì.
“Stavate picchiando in due un ragazzino più piccolo e che peserà la metà di voi… Temo che non possiate esserne orgogliosi” rispose con una smorfia di disgusto.
Dave lo afferrò per il colletto della maglia sollevandolo da terra e togliendogli il fiato.
“Noi facciamo quello che ci pare, credevo fosse chiaro” disse con un sorriso forzato e lo sbattè contro il muretto di mattoni dietro di lui.
Leo sentì una stilettata di dolore partire dalla nuca per poi propagarsi lungo tutta la spina dorsale facendolo rabbrividire.
Il ragazzo lo lasciò di colpo e lui ricadde accasciandosi al suolo, la schiena appoggiata al muro.
“Dave ma che hai fatto? Brutto idiota non hai visto lo spuntone di metallo?! Adiamocene subito via di qui prima che arrivi qualcuno!”
Leo sentì tutto ovattato, uno spiacevole ronzio che sembrava voler coprire tutto il resto, mentre percepiva la vista annebbiarsi velocemente.
Spuntone di metallo?
Alzò lentamente un braccio, che sentiva intorpidito e pesante, fino alla nuca.
Sfiorò appena con la punta delle dita la pelle e ritirò di scatto la mano, ormai intrisa di sangue.
Mormorò un imprecazione e cercò di tenere gli occhi aperti, mentre il mondo iniziava a tingersi di nero e la testa sembrava volergli scoppiare.
***
Nico rimase raggelato sul posto non appena Dave spinse il ragazzo contro il muretto.
Dopo che Valdez si fu accasciato a terra, i tre corsero via spaventati, insultando il compagno per non aver visto il pezzo di metallo che spuntava dai mattoni.
Non perché aveva ferito qualcuno.
Si avvicinò velocemente al ragazzo a terra che si stava guardando la mano insanguinata, ma stava lentamente abbassando le palpebre, esausto.
Nico si accucciò vicino a lui, ignorando il dolore per le ferite di quella mattina e lo alzò il più delicatamente possibile, mentre lui si lamentava appoggiandosi con tutto il peso.
Strinse i denti per la fitta che gli attraversò la spalla sinistra ma si alzò sostenendolo.
Valdez mugugnò qualcosa di incomprensibile mentre Nico cercava di stare in piedi e di fare qualche passo.
“Non ti preoccupare, starai bene” disse arrancando fino all’ angolo della strada da dove poteva vedere la piccola porta dell’ appartamento della sorellastra.
“Devo portarti in ospedale” continuò, più per tranquillizzarlo che per avvertirlo, ma il ragazzo iniziò, spaventato, a dire di no, di non portarlo all’ ospedale, di fare tutto ma non portarlo in quel posto.
Nico non chiese spiegazioni, l’ altro non era in condizioni di rispondere, ma si fermò per controllargli preoccupato la ferita alla testa, mentre lui continuava a divincolarsi sempre più debolmente, prossimo all' incoscienza, ripetendo di non poter andare all’ ospedale.
“Calmati non ti ci porto! Ora sta fermo!” sbottò riprendendo a camminare verso la casa di Hazel.
***
“Arresto cardiaco.
Entro quattro minuti dall’ arresto, il soccorritore ha discrete probabilità che le manovre di rianimazione abbiano successo.
Per ogni minuto queste si abbassano del 8 %”
Leo non sapeva quanti minuti ci avessero messo i pompieri ad estinguere le fiamme.
O le ambulanze ad arrivare.
O i medici a trovare sua madre sotto il cumulo di macerie.
Ma aveva saputo che era arrivata viva all’ ospedale.
Il suo cuore batteva a stento, i suoi polmoni lavoravano al minimo.
Ma Esperanza era viva quando varcò le soglie del pronto soccorso.
L’ incendio non aveva ucciso sua madre, erano stati i medici a non riuscire a salvarla.
“Arresto cardiaco”
In ospedale il cuore di Esperanza Valdez era andato in tachicardia, poi aveva rallentato.
Lentamente aveva cominciato a smettere di battere, quasi ad arrendersi.
Finché non morì.
“Ora del decesso 21.34”
Così c’ era scritto sul certificato di morte.
Così avevano scritto i medici che non l’ avevano salvata.
Leo tenne gli occhi chiusi tutto il tempo della cerimonia, la mano nella stretta fraterna di Beckendorf, a ripensare a questi dettagli.
Non riusciva a pensare ad altro, ma non voleva vedere la bara calata nella terra, perciò serrò le palpebre.
“21.34 del 12/08/2011”
Da quel momento Esperanza era morta.
Leo non sarebbe mai più entrato in nessun ospedale.
Mai più.
Strinse forte la mano del fratellastro, mentre una singola lacrima sfuggiva al suo controllo.
Backendorf gli lasciò la mano e lo abbracciò stretto, tenendolo vicino a sé con fare protettivo.
“Va tutto bene Leo. Non sei solo”
Allora perché sentiva un vuoto nel cuore?
Se non era solo, perché si sentiva abbandonato?
Si aggrappò alle spalle del ragazzo, l’ unica famiglia che gli rimaneva.
Perché i medici gli avevano portato via sua madre.

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Voglia di vivere
Fanfiction"Bianca era morta. E con lei la sua vita" "Ignorare i demoni, le paure, i sensi di colpa. Vivere per gli altri, non per sé stessi" Nico e Leo si ritrovano nella stessa classe di anatomia all' Università ma come possono andare d' accordo? Due rag...