Capitolo I

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Nico fu il primo a mettere piede nell' aula di Anatomia.
Le luci erano ancora spente e non si vedeva nemmeno il professore.
Entrò guardandosi intorno, osservando le varie carte sulle pareti, e lasciò cadere lo zaino nell' ultimo banco, il più lontano dalla cattedra.
Tirò fuori un quadernetto e una matita, mordendosi nervosamente il labbro.
Era agitato.
Dopotutto era il primissimo giorno di università, non conosceva nessuno.
Ed era ancora scosso da quello stupido incubo.
Strinse i pugni, imponendosi di non pensarci, non era il momento.
Aprì di scatto il piccolo quaderno, scarabocchiando una piccola freccia al margine della prima pagina.
Quando stava ormai disegnando gli ultimi dettagli, si fermò di colpo.
Una freccia.
L' arma preferita di Bianca.
Bianca che non mancava mai la sua lezione settimanale di tiro con l’ arco.
Bianca che arrivava sempre prima nelle competizioni.
Bianca che aveva ricevuto il suo primo arco da lui, per un compleanno di molti anni prima.
Nico deglutì a fatica, la matita che sembrava essere diventata improvvisamente pesante tra le sue dita sottili.
Non doveva pensarci.
Non doveva pensare alla sorella.
Il ragazzo si asciugò frettolosamente una lacrima sfuggita al suo controllo, mentre sentiva la porta aprirsi e gli altri studenti entrare in aula.
***
Leo corse a perdifiato fino alla fermata dell' autobus, pregando ogni divinità che gli venisse in mente al momento di non perderlo.
Forse gli dei non erano così benevoli quella mattina, perché il ragazzo si ritrovò a imprecare in spagnolo contro gli autisti dei bus.
Dopo aver vagliato ogni possibilità, concordò con sé stesso che l' unica soluzione era farsela a piedi fino all' università, ben sapendo che sarebbe già stato un ottimo risultato se avesse incontrato il professore della prima ora.
Si infilò le cuffiette nelle orecchie e si strinse nel leggero giubbino da meccanico, iniziando a camminare a testa bassa verso la scuola.
"Non sono neanche arrivato all' università e già faccio dei casini..." borbottò fra sé e sé, ascoltando in sottofondo una canzone degli AC/DC.
Mentre camminava, giocherellava distrattamente con pezzo di fil di ferro, che, si accorse solo all' arrivo, era riuscito a far assomigliare ad una macchinina.

***
Nico stava abbozzando il disegno di un cuore, rifiniva il ventricolo destro, quando la porta dell' aula si spalancò rivelando un ragazzo trafelato che cercava di riprendere fiato come dopo una lunga corsa.
Il professore interruppe la sua spiegazione, voltandosi verso il nuovo arrivato con un cipiglio scocciato.
"E così anche lei ci degnerá della sua presenza oggi... signor?"
"Valdez" rispose lui battendosi nervosamente le dita sulla gamba, mentre faceva vagare lo sguardo sulla classe.
"Bene, si sieda pure signor Valdez, spero che la mia noiosa lezione non disturbi il suo riposo" disse acido il professore mentre, senza degnarlo di un' altra occhiata, tornava davanti alla lavagna.
Nico guardò distrattamente il ragazzo.
Era bassino, molto magro, la carnagione piuttosto scura e i capelli ricci sparsi disordinatamente sulla testa.
Teneva in mano qualcosa (fil di ferro?) e non riusciva a tener ferme le dita, che si muovevano freneticamente molti banchi davanti a lui.
Un piantagrane.
Un ragazzo come gli altri, un idiota che si sarebbe ben presto aggregato alla cricca dei popolari o a qualche altro gruppo.
Un ragazzo che alla fine sarebbe finito a prenderlo in giro assieme a tutti gli altri.
Nico scacciò questo pensiero con uno sbuffo e tornò ad ascoltare il professore che stava spiegando i funzionamento della valvola mitralica.
***
Leo tolse frettolosamente le cuffiette non appena si sedette nell’ unico banco libero, troppo vicino al professore per i suoi gusti.
Mise telefono e cuffie nello zaino, tirandone fuori un quadernino consunto già precedentemente usato da Beckendorf, il suo fratellastro, e l’ astuccio logoro.
Iniziò a prendere appunti sulla valvola mitralica, mentre con la mano sinistra continuava a giocherellare con il fil di ferro.
Alla quarta riga, si fermò di colpo.
“Arresto cardiaco”
Lo stesso arresto cardiaco che uccise sua madre.
Arresto cardiaco provocato dalle ferite dell’ incendio.
Leo strinse forte i pugni, e chiuse gli occhi.
Non doveva pensarci, stava seguendo il corso di medicina, avrebbe senz’ altro sentito più e più volte quel termine.
Non si poteva permettere di andare ne panico per così poco.
Riprese improvvisamente a scrivere, ignorando le fitte al cuore al solo ricordo del sorriso di Esperanza.
“Sorridi, idiota! E’ il primo giorno, non puoi fare così!” si disse il ragazzo, relegando in un angolo della sua mente i sensi di colpa, che sembravano sempre più prepotenti.
Non seppe come passò quell’ ora di lezione, ma prese il suono della campanella come un miracolo divino.
Mise velocemente nello zaino tutti i suoi miseri averi e cercò di farsi strada per uscire dall’ aula, andandosi a scontrare con un ragazzino, che gli rivolse un’ occhiata irata per poi dargli le spalle e andarsene.
Era quasi più basso di lui, estremamente pallido, i corti capelli neri e gli occhi scuri in netto contrasto con la carnagione chiarissima.
Era completamente vestito di nero e, da quel poco che aveva notato Leo, si era seduto in fondo alla classe senza parlare a nessuno.
No, quel ragazzino lì non era il tipo di gente con cui sperava di poter stare una volta iniziata l’ Università.

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