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lo buttano in gabbia, pensando che il ragazzo cambia

- Arifa -

Milano, San Siro, Lombardia - 2019

AVVISO: in questo capitolo ci saranno delle scene forti, dall'inizio alla fine, quindi in caso siete deboli a queste scene, vi chiedo cortesemente ci aspettare l'aggiornamento del prossimo capitolo. Anche se volessi evidenziare le scene da saltare mi risulta impossibile dato che è tutto un blocco, detto questo, ci vediamo alla prossima.


Senza replicare, tornai in stanza, non mi ero mai sentita così umiliata, o meglio, non l'avevo mai permesso a qualcuno e mai l'avrei fatto, mi sarei fatta rispettare a prescindere, o vincevo io o avrei fatto di tutto per vincere, non amavo perdere, io non perdevo.

Dopo essere entrata in stanza, chiusi la porta a chiave e mi accasciai a terra con la schiena contro l'ammasso di legno, incastrai le mani tra i capelli e li tirai leggermente, che avevo fatto di male per ricevere quel trattamento? La mia paura più grande era sapere che lui avrebbe fatto di tutto per trovarmi, a costo di mettere sottosopra tutta Milano, in più una sensazione negativa iniziava ad avvolgermi, avevo lo stomaco scombussolato.

Dei pugni pesanti si scagliarono contro la porta rumorosamente, le pareti vibravano e ogni mio sussulto andava a tempo con il rumore. I ricordi mi avvolsero, non volevo rivivere quelle atrocità. «Apri questa cazzo di porta, non lo ripeterò un'ennesima volta» non mi mossi di lì, non ne avevo le forze, ero immobile e non sapevo come reagire, era la prima volta dopo anni che mi ritrovavo in quella situazione, il mio corpo non ne vooleva sentire, era debole, molle, incapace di rispettare gli ordini del mio cervello traumatizzato. «O ti muovi o sfondo questa porta, la pazienza sta scadendo», non so come, ma riuscii a spostarmi e aprii la porta, ormai intimorita, il suo sguardo non presumeva nulla di buono, esprimevano fuoco puro, lo sguardo di un cacciatore vittorioso dopo aver collpito quella povera piccola preda innocente, il panico mi stava assalendo, come devo comportarmi? Cosa devo fare?

Sto respirando? No, non lo stavo facendo. Come? Mi allarmai e iniziai a respirare affannosamente, mi sentivo come un pesce fuor d'acqua, la testa si era svuotata rapidamente da tutti quei pensieri che mi stavano tormentando, ma solo uno non mi abbandonava, il pensiero del respiro, non riuscivo a scacciarlo, non mi veniva nulla in mente che mi facesse tornare a calmarmi, e la situazione non aiutava.

Mi afferrò dai capelli e con uno scatto chiuse la porta rumorosamente, potevo dare il via alla mia più grande paura: rivivere quel momento, il mio inferno personale si stava facendo vivo, nuovamente. Un po' come Lucifer dopo il suo rientro all'inferno, io ero quel classico criminale che viveva quotidianamente tutte le azioni più truci che aveva compito durante la vita.

«Adesso ti faccio vedere cosa succede quando diventi una mocciosa insolente» mi alzò dal pavimento, tirandomi per capelli, gli occhi mi si fecero lucidi, tutto attorno a me divenne annebbiato, mi fece scontrare contro il materasso in modo rude, avvertii dolore alle costole dopo l'impatto, mi fece piegare in avanti, sembravo una pecora in quella posizione, probabilmente in altre situazioni mi sarebbe piaciuto, ma dopo quel trauma non avrei mai più toccato un membro maschile; pochi istanti dopo mi ritrovai con i pantaloni della tuta calati e con lui l'intimo, iniziai a tremare fortemente, pregando che smettesse, ma così non fu, dato che continuò con l'atrocità che aveva in mente di compiere, mi sentivo paralizzata.

Ormai le lacrime scendevano copiose e non sapevo più come fermarle, era letteralmente impossibile e ciò mi era stato reso difficile dato che mi aveva bloccato i polsi dietro la schiena. Si abbassò i pantaloni ed estrasse il suo membro, quelle scene mi facevano schifo in generale, ma quello era un vero e proprio stupro, cosa ancora più imperdonabile, avrebbe leso la mia coscienza, il mio fisico e la mia salute mentale, già altalenante di suo. Senza preservativo e con una botta secca entrò in me, un urlo straziante e stridulo uscii dalle mie labbra, ormai i singulti uscivano prepotenti, piangevo disperata, le urla erano udibili in tutta la casa, maggiormente nella stanza dato che il suono non aveva la possibilità di essere disperso, il mal di testa mi faceva da padrone in quel momento, non rispondevo più delle mie azioni. Mi stavo abbandonando a quel momento, e come anni prima, dopo la fine di quell'incubo non mi sarei ripresa per molto tempo, in più non sapevo con chi parlarne dato che me ne vergognavo. 

Le spinte aumentavano, così come la velocità ed io ero sempre più assente, mi sentivo ormai vuota, morta.
«Ti ho detto di rimanere muta» era fuori di se, mi voltai per guardarlo negli occhi ed era assente anche lui, in un oblio da cui non sapeva uscire, non aveva ancora capito che aveva tutti i mezzi in mano per diventare una persona migliore. 

Girai di nuovo lo sguardo verso il basso, terrorizzata da cos'altro potesse farmi, finché fui distratta da degli ennesimi colpi dati alla porta. Essa fu forzata e una figura che ormai conoscevo entrò spostando dal mio corpo quella belva.


; spazio autrice
vi ricordo che non contemplo per niente questi atti, anzi mi fanno completamente ribrezzo. in questo capitolo abbiamo analizzato un attimo il carattere e una piccola parte del vissuto di Arifa, a chi pensate che sia riferito questo lui?


ೄྀ࿐ ˊˎ- opera protetta da copyright
pubblicato il: 6 novembre 2021

𝖢𝖺𝗌𝖺 ; 𝗡𝗲𝗶𝗺𝗮 𝗘𝘇𝘇𝗮Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora