⁝ lo buttano in gabbia, pensando che il ragazzo cambia ⁝
- Amine -
Milano, San Siro, Lombardia - 2019
Avviso: ci saranno scene delicate, parti con self harm, in questo capitolo sono presenti molti miei pensieri riversati nel personaggio di Amine, ci sono le mie paure unite a citazioni, cose che ho capito in questi mesi seguendolo e comprendendo il suo essere, ma non sempre ciò che io penso può essere giusto né tanto meno pretendo che la pensiate allo stesso modo.
Un risveglio a dir poco travagliato, non mi era mai capitato da quando avevo conosciuto Arifa. Pensare che anche lei soffrisse di autolesionismo e fosse stata abbandonata dai suoi genitori mi faceva pensare. Stavo rivalutando molte cose, le persone che mi circondavano, la mia famiglia, i miei soci e il mio passato.
Non pensavo che Mattia fosse capace di chiedere scusa, si era mostrato sempre così freddo, distaccato, come se nulla lo tangesse, a volte pensavo non gli importasse neanche di noi, un tempo eravamo amici, ci conoscevamo sin da piccoli, piazza Selinunte era il collante per le nostre conoscenze, si era svolto di tutto in quel quartiere: freestyle, partite di calcio, giochi di ruolo, giochi di regole, litigi e le prime risse. Sami , Vale, Mattia, loro per me c'erano sempre e io per loro. Non mi sarei mai tirato in dietro, che fosse stato per difendere la zona o meno, tra tutti ero quello più calmo, tranquillo, quello che faceva ragionare entrambe le parti; si fidavano di me, mi confidavano i loro segreti e piani per fermare il "nemico". Alcuni mesi dopo aver compiuto 16 anni Mattia entrò a far parte di un giro losco, la legalità non ci era mai appartenuta, ma quella era fin troppo. Non mi piacevano le droghe e non mi ero mai fatto, ma lui aveva bisogno di soldi, il padre li aveva abbandonati, la madre pur lavorando, arrivava a fatica a fine mese, l'unica soluzione per guadagnare il doppio era divulgare la morte.
Ci aveva abbandonato per non metterci in pericolo. Fu devastante quella notizia, perdere un'amicizia così importante per me, ne fui straziato, non uscii di casa per giorni interi, non piangevo, non ne avevo le forze, volevo trovare un modo per ricongiungere i rapporti.
Non amavo fare nuove amicizie proprio perché non riuscivo a fidarmi, mi risultava difficile credere a persone che non avevo mai visto, soprattutto con chi non avevo mai parlato. Con il tempo Rondo ottenne il rispetto dei maggiori spacciatori di Milano, per poco non facevano a gara per chi dovesse entrare a far parte della sua cerchia, ma, anche lui come me, non voleva attorno persone che non conosceva, dunque ci radunò tutti nel suo piccolo appartamento e da lì iniziò il mio inferno, le cose vietate erano all'ordine del giorno: un giorno in questura, passare le notti in cella, i boschi di spaccio, l'assenza da casa e le numerose assenze a scuola, come potevamo giustificare una cosa così? Di certo non potevamo dire "ero a spacciare", le famiglie non lo sapevano, ripudiavano quelle cose, così come gli omicidi e l'alcol, per cui molti decisero di abbandonare gli studi, io nel pomeriggio facevo qualche lavoretto, giusto per arrotondare lo stipendio dei miei.
La mia famiglia.
La parte più importante della mia vita. Avrei dato la mia vita per le mie sorelle, avrei preferito una morte atroce piuttosto che far soffrire mia madre. Erano forse le uniche donne che avrei mai amato.
Nel mio passato avevo passato solo confusioni. Preferivo isolarmi, non farmi vedere da nessuno per giorni e, nel peggiore dei casi scomparire per mesi. Mi facevo vivo solo nelle ore scolastiche, ma anche lì mi isolavo: scrivevo poesie o temi, mi bastava guardare fuori dalla finestra durante l'intervallo per avere un mare di idee: mi incantava guardare il cielo, immaginare il mio futuro con il lavoro dei dei miei sogni. Crescevo tra Baggio e San Siro, ogni minima strada che percorrevo dovevo canticchiare qualcosa, mi rilassavo, ero un bambino abbastanza nervoso, qualsiasi cosa innescava in me ansia e nervosismo. Quando succedeva non ero più lucido, respiravo a fatica, non sapevo come calmarmi, se non con il dolore .
Il dolore di qualsiasi tipo, dal dolore fisico come le bruciature e i tagli, al dolore psicologico, convincevo la mia mente che non fossi adatto a quel mondo, che meritavo la morte. Se fossi stato analizzato da uno psicologo avrebbe subito avvertito i miei genitori, non avrei voluto preoccuparli ulteriormente, non se lo meritavano, ero l'unico a portare guai ed ero il più grande. Dovevo prendermi cura dei miei pochi amici e delle mie sorelle. In quaranta metri quadri era impossibile vivere, a volte eravamo costretti a dormire per terra, altre quattro persone in un letto, a mio padre toccava dormire sul divano scomodo. In tutti quegli anni non sapevo cosa fosse la comodità, sapevo solo la solita definizione del vocabolario.
; spazio autrice
spero che questo capitolo scritto in un'ora e mezza durante l'interrogazione di storia vi sia piaciuto, ditemi che ne pensate, voglio un vostro parere. scegliete l'argomento di un paragrafo e parlatemene o nei commenti o in privato, sarò sempre pronta ad ascoltarvi.-, opera protetta da copyright
21 novembre 2021
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𝖢𝖺𝗌𝖺 ; 𝗡𝗲𝗶𝗺𝗮 𝗘𝘇𝘇𝗮
Fanfiction• 𝘓𝘢 𝘷𝘪𝘵𝘢 𝘥𝘪 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘢, 𝘪 𝘱𝘳𝘰𝘣𝘭𝘦𝘮𝘪 𝘥𝘪 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘢, 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘢𝘯𝘤𝘰𝘳𝘢 𝘲𝘶𝘢, 𝘥𝘪𝘮𝘮𝘪 𝘴𝘦 𝘱𝘦𝘯𝘴𝘪 𝘰𝘱𝘱𝘶𝘳𝘦 𝘯𝘰, 𝘴𝘦 𝘷𝘦𝘥𝘪 𝘢𝘯𝘤𝘰𝘳𝘢 𝘪 𝘨𝘶𝘢𝘪, 𝘲𝘶𝘪 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘢𝘯𝘤𝘰𝘳𝘢 𝘱𝘰𝘷𝘦𝘳𝘰 𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘣𝘢𝘴𝘵𝘢�...