Sono nato in una famiglia disgraziata, una delle tante che fatica ad arrivare a fine mese oppure da due genitori che non mi volevano, forse da una relazione clandestina o da una ragazza madre. Non saprò mai la verità ne mi interessa: mi abbandonarono all'ingresso di un orfanotrofio, senza nemmeno avere il coraggio di bussare alla porta. I miei genitori genetici, per me, semplicemente non esistono.
All'orfanotrofio vivevamo di poco, nella severità; eravamo così tanti che non avevamo mai un pasto e una pulizia decente; senza affetto; ogni stanza era un piccolo tugurio.
Avevo tre anni quando una coppia di angeli custodi mi adottò, dando il via alla mia infanzia idilliaca. Mi avevano desiderato nell'istante stesso in cui avevamo incrociato gli sguardi, perché in quell'attimo tre sorrisi si erano fatti strada in tre cuori straziati: io mi sentivo solo e loro non riuscivano ad avere figli.
Tutti mi viziavano, anche gli amici e i parenti dei miei nuovi genitori mi volevano un gran bene, ma non ero capriccioso.
Ero l'angelo e il principino della casa, mio padre un re possente e generoso e mia madre una dolce regina. Di quei giorni ho pochi ricordi, sprazzi di memoria che vengono alla mente solo se mi concentro e comunque derivanti da emozioni forti. Ma guardando le foto di quei primi anni di vita (perché è stato fuori da quell'orfanotrofio che ho cominciato a vivere davvero), si vede come mi trattassero bene: un biondino paffutello sempre sorridente e impegnato in qualcosa.
Avevo quasi 6 anni quando, un giorno, i miei genitori adottivi mi portarono a mangiare un gelato in riva al mare. Quando ebbi finito, lui mi prese in braccio e lei ci abbracciò, insieme mi dissero che avrei avuto una sorellina, erano tanto felici e lo ero anche io di riflesso.
Mese dopo mese, guardavo con curiosità quella pancia che cresceva, iniziavo a provare quel tipico timore misto alla gelosia che si prova quando sai che un'altra persona verrà a "rubarti" la scena. Ma avevo anche il timore in più che, una volta nata la sorellina, mi avrebbero riportato nell'orfanotrofio dal quale mi avevano strappato.
Quando ormai tutti dicevano che la sorellina stava per arrivare, mi persi troppo in quei pensieri di timori e mi rifugiai in soffitta, ma dopo qualche ora venne lui, papà, si accomodò sul pavimento al mio fianco e mi attirò tra le sue braccia, io mi ribellai e urlai tra le lacrime che non volevo tornare in "quella casaccia puzzolente piena di persone cattive" in cui avevo atteso che qualche famiglia normale mi adottasse e mi volesse bene. Lui scoppiò in una risata dolce, io cercavo ancora di scappare dal suo abbraccio, lui mi strinse ancora più forte e mi disse proprio così: "Ale, non tornerai in quella casaccia puzzolente e non permetterò mai alle persone cattive di farti del male. La sorellina che verrà ti farà compagnia, giocherai con lei, e noi già la amiamo come amiamo te". Io inclinai il capo, lo guardai con gli occhi lucidi e gli chiesi cosa significasse la parola "amiamo" e lui mi spiegò che "amare significa voler bene a una persona con tutto se stesso, prendersi cura di lei, donarsi a lei" ma avrei capito meglio quando sarei cresciuto. Una piccola formuletta magica che mi calmò all'istante.
Da quel momento, fui decisamente il fratello maggiore perfetto: da un po' di giorni il mio papà stava sistemando la cameretta per mia sorella, mi aveva chiesto più volte aiuto e mi ero sempre rifiutato, ma quel giorno in soffitta fui io a chiedergli se potevo aiutarlo nei preparativi. Forse fu in quel momento che iniziai ad amare Francesca: per la prima volta mi stavo prendendo cura di lei.
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Il Fiore Sbocciato
RomanceAlessandro e Francesca sono "fratello" e "sorella" coinvolti in una storia di amicizia e amore impossibile. Le loro vite si intrecciano e separano per seguire le loro ambizioni, speranze e "convenzioni".