7. Decisioni (prima parte)

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Era da un anno che la nostra storia andava avanti, ma non potevamo continuare in eterno a fare i clandestini. Lei non meritava una vita segreta con me, senza la speranza di poterci mai costruire un futuro. Prima finiva questo sogno, prima saremmo riusciti a ricucire le ferite che ci avrebbe lasciato.

Presi una decisione importante e uscii dall'ufficio del mio capo con un sorriso triste nell'anima e il cuore sigillato.

Misi il punto definitivo alla situazione quando, poi, dissi a Francesca che l'azienda in cui lavoravo mi trasferiva alla sede newyorchese.

Lei mi guardò con occhi ghiacciati ma sperduti "Stai scappando da me?"

"No, mi obbligano ad andarci. Sai, gli altri hanno tutti una famiglia qui, quindi restavo solo io...". Stavo mentendo, avevo scelto io di andarci, vedendo la separazione fisica come la soluzione anche a quella delle anime. Dovevamo farcene una ragione per il bene di tutti.

Forse lei capì che le stavo raccontando una bugia, si intristì e mi guardò fisso "Capisco... tu non hai una moglie e dei figli come loro..." apprezzai la sua finta comprensione, rendeva le cose più semplici per entrambi. Per la prima volta, si era arresa, forse perché si rendeva conto dell'impossibilità delle cose e non provò a chiedermi di poter venire con me.

Mi lasciò solo in soffitta, tirai un sospiro triste e mi stropicciai gli occhi per scacciare via le lacrime.

Perché era capitato a me un amore così bello ma proporzionalmente impossibile? Sì, Francesca, stavo scappando, separarci era la cosa giusta da fare.

Da quel momento cercammo di non avere più contatti fisici, forse per abituarci piano al cambiamento. Cercai di partire il prima possibile.

Nonostante avessimo fatto di tutto per anestetizzarci alla mia partenza, fu comunque molto doloroso salutarci. Lo facemmo in soffitta, era il nostro posto, non lo avevamo deciso di proposito, era stato il nostro istinto a portarci automaticamente lì.

Mi stesi sul pavimento e mi misi a guardare le travi del tetto, conoscevo quasi a memoria ogni nervatura del legno di quel luogo in cui avevo trascorso chissà quante ore della mia vita.

Francesca guardava fuori dalla finestra come in trance, la sua voce mi arrivò come un flebile sospiro "Staremo ancora insieme?"

Temevo quel momento, temevo quella domanda, temevo i tormenti di Francesca. La raggiunsi e l'abbracciai forte.

Nei suoi occhi si accese un lume e iniziò a piangere in silenzio, come se una diga fosse ormai crollata, ma la voce le uscì ferma dalle labbra "Ti prego, proviamoci lo stesso" era il suo ultimo tentativo.

Non seppi che dire, vederla così fece cedere anche la mia diga e con quel silenzio credo di averle detto di sì, rimandando la rottura al futuro.

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