6. Non arrendersi

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Le passeggiate, i pasti, il relax, ogni singolo momento, presero un altro sapore, quello dell'amore che avevamo tenuto nascosto persino a noi stessi e che, finalmente, avevamo trovato il coraggio di accettare.

Mi sembrava di vivere qualcosa di irreale, in un mondo fantastico in cui avevo occhi e cuore solo per Francesca. Improvvisamente, lei non era più mia sorella, ma la mia anima gemella, l'altra metà della mia mela, il diamante che si incastonava perfettamente nella mia anima.

Ma c'era un argomento che ci premeva in petto e che nessuno dei due voleva affrontare: cosa avremmo fatto una volta tornati a casa?

La sala da tè era gremita, fuori piovigginava e non ci sembrava estate, ma uno di quei giorni grigi alle porte dell'autunno.

Guardai Francesca. Quel giorno aveva scelto di indossare dei jeans semplici, un paio di scarpe da tennis e una maglietta azzurra con la stampa di un bacio di labbra carnose dipinte di viola. Allungai il braccio verso di lei e subito pose una sua mano tra le mie. Salii lungo il suo braccio con le dita solleticandole l'interno del gomito, lei mise sul mio polso l'altra mano e iniziò a giocare con i miei braccialetti. Li fissava sorridendo, sognante e felice, e io sorridevo tra me e me, ammaliato dalla sua semplicità; liberai il braccio e portai le mie dita alle sue labbra pizzicandole e il suo sorriso si trasformò in un soffio di riso.

Risi anche io "Vieni qui"

Si accigliò divertita "Sono già qui"

Il tavolo era molto piccolo, eravamo praticamente attaccati, mi ci sporsi e atteggiai le labbra ad un bacio al quale, pronta, rispose subito. La fissai negli occhi e feci un lungo e profondo respiro "Cosa faremo una volta tornati a casa?"

"Non lo so, Ale"

Appoggiai i gomiti sul tavolo e chiusi le mani a pugno per appoggiarvi il mento, pensieroso "E' un casino, forse dovremmo arrenderci all'idea che non possiamo continuare"

Si intristì, abbassò lo sguardo "Perché?"

"Non mi va di parlarne... lo sai benissimo perché"

Alzò gli occhi e li puntò nei miei, mi cinse le mani con le sue e mi rivolse un sorriso amaro, ma di incoraggiamento "Perché non proviamo a vedere se, invece, funziona?"

Le sorrisi dolcemente, la mia piccola sognatrice non si arrendeva così facilmente. Le presi il viso tra le mani "Vedremo"

Il suo volto si illuminò di gioia per quella piccola vittoria. Il suo sorriso malizioso mi fece intendere che avrebbe fatto di tutto pur di continuare la nostra storia.

Tornati a casa, c'era una sorta di barriera insormontabile che non ci permetteva di "violare" con l'intimità di coppia le nostre camere, troppo intrise della nostra infanzia e adolescenza. Inevitabilmente, la soffitta si trasformò nella nostra alcova. 

Quando non eravamo impegnati ad amarci e nei momenti di razionalità, le dicevo di smetterla, che se lo avessero saputo i nostri genitori sarebbero morti di crepacuore, che non era concepibile una cosa del genere nonostante non avessimo alcun legame di sangue. Vergavo, con le parole, una lista infinita di aspetti negativi che odiavo, erano solo scuse che volevano soffocare il nostro amore. Fosse stato per me e Francesca, avremmo fatto tutto alla luce del giorno.

Lei avrebbe voluto gridare al mondo che, quando ci si ama davvero nella nostra situazione, non esiste perversione e non esistono barriere. Ma non poteva.

A volte ce ne fregavamo di tutti questi ragionamenti e gioivamo del nostro amore amplificato da quel brivido di paura misto all'eccitazione del segreto; altre volte, Francesca si disperava per l'assenza di un futuro ed entrambi soffrivamo. Cedevo proprio per questo: se le stavo accanto stava un po' meglio; anche solo se la tenevo stretta, la sua anima non si spegneva; se la "allontanavo" si aggrappava a me con tutte le sue forze. Mi sentivo terribilmente in colpa. In bilico tra ciò che volevo e ciò che non potevo fare, incatenato a Francesca anche dalla sofferenza. E per lei era lo stesso.

Ma, nonostante tutte le difficoltà, quel periodo fu, forse, uno dei più belli della mia vita.

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