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Come ogni mattina, mi ritrovai ad osservare l'edificio grigio che mi si presentava difronte, come facevo ogni giorno d'altronde, mentre fumavo una sigaretta. Il giardino della della scuola era invaso, come sempre, da studenti, vi erano vari gruppi, o chi stava in disparte osservando quei gruppi sognante di farne parte, o chi semplicemente amava stare nel suo.

In disparte da tutta quella normalità c'ero io, Emily Steeve. Non amavo stare nel giardino della scuola, non perché mi sentissi a disagio o per chissà per quale motivo, era semplicemente precauzione.
Non avevo un gruppo di amici, i motivi era più di uno, purtroppo, ma stare nel mio non era del tutto un problema.

Rimasi ancora lì immobile, lontano da quell'edificio grigio, un colore un po' spento per una scuola, ma nonostante tutto non era il vero problema.
Fui indecisa se entrare o meno: se fossi entrata immediatamente avrebbero avuto il tempo di fare il loro lavoro, se fossi entrata in ritardo, di nuovo, avrebbero capito che li stessi evitando.

Era da un po' che entravo in ritardo appositamente, la professoressa Smith, per quando amassi la sua materia, mi aveva detto che se avessi continuato di questo passo, i ritardi avrebbero influito sulla mia condotta.
Sarei entrata in un modo o nell'altro in orario, anche se la mia voglia di farlo era pari a zero.
Erano ancora le 7:50 e la campana sarebbe suonata tra dieci minuti, avevo il tempo di fare il giro e di entrare dalla palestra.
Raccolsi i capelli in una cosa bassa, infilandola poi dentro la felpa, alzando poi il cappuccio. Tirai un sospiro, ricco di speranza, anche se sapevo come sarebbe andata a finire. Mi diressi verso la parte posteriore della scuola, la porta era veniva lasciata sempre aperta.

Ma quella non era giornata, per me e per loro. Lui riuscii a notarmi da lontano, e con Ashton riuscirono a raggiungermi in tempo, stavo per varcare il portone sul retro. Ma semplicemente non feci in tempo, che quelle mani riuscirono a rapirmi dal cappuccio e a trascinarmi verso la sua direzione, finii tra le sue braccia, ma quando lo guardai mi scaraventò a terra.

Alyssa, la sua ragazza, o almeno lei si definiva così, mi diede un calcio in pieno stomaco. Fece molto male, non solo il calcio in sé, ma intendo il gesto, l'umiliazione, il fatto che nessuno intorno accorresse in mio aiuto.
Ashton non mi toccava quasi mai, si trattava di occasioni rare, stava lì in balìa, rideva o guardava fisso per un po'.

«Continuerò dopo» la campana era suonata da un po', e Alyssa pregava il ragazzo di entrare perché non avrebbe dovuto fare tardi. Lei era una specie di angelo a scuola, davanti ai professori usava una di quelle maschere che avrebbero ingannato anche me.

Luke abbassò lo sguardo su di me, facendo largo, poi, ad uno sei suoi ghigni. Quei suoi ghigni che erano riservati solo a me. Lo guardai con disprezzo, prima di ripulirmi i pantaloni neri dalla polvere.
Poco prima di alzarmi, però, un calcio dato in piena schiena mi fece cadere nuovamente di sedere.
Sarebbe stata una lunga giornata.

* *

Posai delicatamente i miei libri nell'armadietto, per qualche strano motivo le mie mani tremavano da far paura.
Ci frugai per un po', cercavo la crema che utilizzavo per i lividi che mi procuravano, avevo deciso di tenerla a scuola quando avevano deciso di farlo in modo più frequente.
Mi guardai un po' intorno, nessuno si concentrava su di me come al solito;
questa volta, però, incrociai i suoi occhi: mi stava fissando.
Ebbi paura, paura che di un ulteriore umiliazione. Ma per qualche motivo, riuscii a reggere quello sguardo, a reggere quel mare che aveva negli occhi.

Quando tornai a fissare il mio armadietto cercando qualcosa che in probabilmente, l almeno così speravo, mi avrebbe fatta sparire da quella situazione, da quella città e sopratutto da lui.
Sobbalzai non appena notai una figura avvicinarsi, alzai di scatto la testa e la mia bocca lasciò un sospiro di sollievo non appena notai che si trattava della professoressa Smith.

«Signorina Steeve.» stranamente mi guardò storta, cercai di sorriderle nel più dolce dei modi, era la tipica professoressa che ad un viso dolce o colmo di lacrime non resisteva.

«Salve prof,è successo qualcosa?»
Era una prof a due poco eccellente, ma per quando amassi la sua materia, era in grado di mettere in soggezione una persona soltanto guardandola.

«Non l'ho vista a lezione alla prima ora, dov'era?»

«Mi dispiace, ma sono dovuta andare in infermeria, mi sentivo poco bene e ho chiesto di darmi un'aspirina.» ed era vero, anche se non ero andata lì per un'aspirina, avevo un livido violaceo gigantesco al centro dello stomaco, dopo aver ricevuto due calci era il minimo, la schiena non era messa del tutto male.

"Prima o poi dovrai dirmi chi ti fa così male, tesoro." , Vanessa l'infermiera, una signora un po' anzianotta, a cui stavo molto a cuore, mi aveva risposto così dopo aver visto il livido, e tutti quelli che ha medicato in passato.

«Oh,capisco -mi sorrise-, ma che non si ripeta più.»

Io mi limitai ad annuire e a guardare come si allontanasse da me, facendo echeggiare i suoi tacchi neri rumorosamente contro il pavimento, emettendo un suono abbastanza fastidioso.
Cacciai un sospiro di sollievo, ma quella tranquillità durò per poco, dato che quando chiusi l'anta dell'armadietto, un volto angelico era appoggiato in quello accanto.

«Hai saltato la prima ora? Come mai?» mi guardava divertito, guardava come riusciva a farmi tremare con poco.

«Perché lo fate?» Nella mia testa non aveva neanche avuto il tempo di formulare quella frase, talmente il mio corpo era stanco di subire che chiedeva spiegazioni per me, una ragazza incapace di reagire.
Rimase un po' spiazzato, non mi aveva mai sentita parlare, credo. Non mi ero mai permessa di urlare, non so neanche io per quale motivo.
Mi guardò per svariati secondi un po' perplesso, ma poi rispose.

«Dovevo pur passare un po' il tempo in questo buco di città.»
Come mi aspettavo, Luke era talmente anche con se stesso che non riusciva a trovare niente di più divertente che picchiarmi, aveva fatto di me il suo giocattolo.

Lo fissai per qualche secondo, cercai di trattenere le lacrime che minacciavano di scendere, una però cedette rigandomi il volto. Mi voltai immediatamente, sistemandomi lo zaino su una sola spalla, stranamente non avevo sentito Luke ridere di me o fare qualche battuta.

Quando entrai nel bagno della scuola, la puzza che vi era si fece largo nelle mie narici, facendomi tossire.
Andai a sciacquarmi un po' la faccia e levare quel poco mascara che avevo deciso di mettere. Volevo sembrare più carina, questo è quello che pensai stamattina, non lo misi per piacere a qualcuno, semplicemente per accettarmi un po' di più. Ma quando mi guardai allo specchio senza quel trucco, pensai che in realtà non ne avessi veramente bisogno.

Perché doveva essere tutto così difficile?
Non potevo essere la classica ragazza bella e accettata da qualcuno?

My bully  ↠ lrhDove le storie prendono vita. Scoprilo ora