Capitolo 5 Di un nuovo allievo, di una Mustang verde e di baci ardenti

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Kitty Pryde, accomodata a terra su un cuscino, due treccine ai lati della testa fissate da fiocchetti rossi, si rivolse a Julia «Professoressa, cominciamo? Ci siamo tutti, per piacere». L'aula era gremita, c'erano solo posti in piedi e nemmeno troppi. Gli studenti volevano iniziare a parlare del testo, fremevano, e Fenice ritardava, stranamente.

Julia aveva chiacchierato a lungo con Charles, nel corso della sera precedente, approfittando del momento in cui il suo mentore si dedicava all'abituale partita di scacchi con Erik. Davanti al camino acceso, in mano due bicchieri di cognac da centellinare, giocavano all'ultima mossa, da anni.

La presenza dell'arciere aveva movimentato la loro giornata e quella degli allievi della scuola. Dopo il saluto del professore, Clint era stato invitato da Raven a restare a pranzo. Ed era rimasto per l'intero pomeriggio, insegnando ai ragazzi a tirare con l'arco con una vecchia attrezzatura rimediata in soffitta, nel grande parco antistante la villa. Gli studenti si erano messi in fila per una lezione privata da Occhio di Falco, persino Erik e Julia stessa, con pessimi risultati da scarsi principianti.

L'Avenger, a sua volta, aveva curiosato nella struttura, nei laboratori di Hank tanto simili a quelli di Bruce e Tony, nell'hangar dov'era custodito il jet Blackbird. E si era mostrato entusiasta, domandando e coinvolgendo gli altri mutanti che lo avevano accompagnato. Lehnsherr si era pure dilungato a fornire spiegazioni sull'elmo costruitogli da Hank su richiesta di Charles, per far sì che lui stesso in battaglia non fosse attaccato o bloccato da un telepate.

Quando era giunta l'ora di cena e una pioggia intensa si era abbattuta su est New York, l'agente Barton era stato trattenuto per un ulteriore momento conviviale in cui si era mostrato educato, relativamente affabile e spiritoso, nel suo fare brontolone e rigido.

Lo scambio continuo di battute fra lui e Fenice aveva divertito molto i ragazzi, che lo avevano lasciato andare a malincuore, soltanto con la promessa di successive lezioni di tiro con l'arco.

E Julia, salendo per coricarsi, si era detta certa con Charles ed Erik che Clint avrebbe acconsentito alla proposta di seguire la sua lezione del giorno successivo.

Ora che si trovava in aula e doveva iniziare, constatò che si era sbagliata: non era venuto.

Si sentì una vera idiota. Era seduta sulla cattedra a forma di fagiolo, i jeans scuri e la camicia bianca scelti accuratamente dall'armadio, persino un velo di rimmel e lucidalabbra trasparente, una copia della tragedia in mano presa in prestito dalla libreria di Xavier. Sei una perfetta scema, Julia Green! Credulona e presuntuosa!

La sua alunna prediletta la incentivò ancora e lei dovette cominciare. Aveva già atteso più di dieci minuti rispetto al solito «Eccomi a voi. Oggi esamineremo la nostra opera da un punto di vista particolare. Le diversità fra le famiglie dei Capuleti e dei Montecchi sono paragonabili a quelle fra mutanti e umani? Romeo e Giulietta potrebbero rappresentare le due diverse specie? I loro problemi relazionali sono attuali?» chiese alla platea, che iniziò a discutere appassionatamente.

«Decisamente attuali» Clint entrò in aula dalla porta socchiusa, facendo vociferare gli stupiti allievi. Abbassò gli occhiali da sole scuri e li rimise nella tasca del giubbotto «Buongiorno a tutti».

Restò in piedi sul passaggio laterale accanto alla libreria, alle spalle un avviso sul ballo a tema shakespeariano organizzato a maggio, incerto su dove mettersi «La vera disputa è tra coloro che propendono per l'evoluzione e la crescita e quelli che rimangono arroccati su pensieri tradizionali, che temono ciò che è diverso. Le due famiglie si adattano perfettamente a un paragone simile che rimanda a tematiche antiche. Considerate anche solo che ai tempi di Romeo e Giulietta era una blasfemia persino ballare con un uomo che non fosse il promesso sposo o marito, parlare con chi non fosse dello stesso ceto sociale: sono solo esempi che si ricollegano al nostro stato presente in cui molti combattono con la paura dell'emarginazione. In parole povere non è che ci siamo evoluti molto, ecco». L'arciere la buttò sull'ironico, facendo ridere gli allievi.

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