Capitolo 14 Di un esame superato e di una vacanza in North Carolina

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Julia era sdraiata con la testa posata sul petto di Barton, spostata di lato, gli occhi chiusi, nella piccola camera della X- Mansion.

Clint la rimirava, al settimo cielo, esaminando nel dettaglio i suoi splendidi tratti somatici, le sopracciglia folte ad ali di gabbiano, il taglio degli occhi da gatta, il contorno delle labbra rosse e sensuali.

Sognava, Fenice, e lui non la disturbò né la interruppe, seguendo i rapidi movimenti oculari, cercando di immaginare quali sogni stesse facendo, sperando di esserne il protagonista indiscusso.

Si limitò a inanellare le ciocche scure dei capelli profumati di shampoo fra le dita, per qualche minuto, dovendo alla fine ammettere che la contingenza gli impediva di ragionare e di fermarsi dal toccarla; sfiorò con la punta delle dita il suo viso sulla guancia destra, per poi percorrerne il profilo fino alla punta del naso e all'incavo delle bocca socchiusa.

Le labbra dell'arciere si mossero verso il collo niveo, donandole piccoli succhiotti alternati a bacetti appassionati. Risalì verso il lobo dell'orecchio che suggette, percependo un leggero movimento e un gemito nella compagna.

Si stava destando, Julia, alle moine del suo Romeo, nel più bel modo possibile. La frequenza cardiaca aumentò, il respiro si fece più cadenzato. Il corpo reagì alla stimolazione affettuosa, la pelle si increspò, e la mutante si stiracchiò, inarcando la schiena e incrociando le braccia dietro la testa, in una posizione provocatoria in cui il gonfiore dei seni e il turgore dei capezzolini rosei spiccava maggiormente, nudo della coperta abbassata. Passò la punta della lingua sulle labbra, in modo inconscio «Buongiorno, amore» bisbigliò verso Barton, voltandosi per ricevere il primo bacio del mattino.

Le gambe cercarono quelle dell'Avenger in un incrocio che avvicinò i loro bacini, rivelandole l'evidente desiderio che era anche il suo.

«Ridimmelo ancora, Julia, chiamami ancora così» Clint non osò utilizzare esplicitamente il vocabolo, ma lei lo accontentò subito, con impeto, colpita dalla vocetta tenera che gli era uscita dalla gola, la voce di un uomo disilluso che non credeva più nei sentimenti e che aveva paura che ciò che stava vivendo non fosse reale, che la notte appena trascorsa potesse scivolar via come sabbia tra le mani «Amore, Clint, amore mio, è tutto vero».

Lo abbracciò, intrecciando le braccia dietro il suo collo, la plastica bianca e nera del bracciale al polso, specchiandosi nei suoi occhi felici, intrappolando il labbro superiore nel suo arco gioioso, strofinando i loro nasi, in un volteggio sempre più passionale.

Le orecchie le rimandarono soltanto tre parole, una litania continua e meravigliosa che le rimbombava nel petto e nel cuore. Ti amo, Julia.

«Piccioncini, Romeo e Giulietta, vi ho portato la colazione. La lascio ai piedi della porta. Clint, vieni a prenderla quando mi sarò allontanata, non vorrei che restassi scioccato» Raven aveva bussato alla stanza di Julia, certa che lei e Barton fossero svegli.

Al termine della festa gli Avengers erano tornati a New York sulla limousine di Tony senza nemmeno fare la mossa di cercare il collega che, salito al primo piano con la mutante, non ne era più ridisceso. Persino Charles aveva sorriso, compiaciuto di aver previsto in anticipo quanto sarebbe accaduto fra Fenice e l'arciere. E che quest'ultimo avesse trascorso la notte alla scuola non scandalizzava nessuno. Gli allievi erano abituati alla presenza di coppie che, fidanzate, dormivano nello stesso letto, e vivevano nella stessa stanza.

«Ho fame, amore, corri» Green lo spronò e lui si precipitò, convinto che in corridoio non avrebbe incontrato nessuno e che Raven si fosse già allontanata. Anche perché si era alzato senza coprirsi, nudo come un verme. Si affacciò alla porta, aprendola di pochi centimetri, il tanto per raccogliere da terra il vassoio d'argento ovale ricco di prelibatezze di un classico american breakfast.

Il Falco e la FeniceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora