Fourth

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[ricordi]

«Come chiameresti tuo figlio?» - afferro il labbro inferiore tra i denti, affondando la testa all'incavo del suo collo caldo, mentre il suo petto continua a fare su e giù per l'affanno, ma socchiudo gli occhi quando lo sento scoppiare a ridere tra i miei capelli.

«Mi stai chiedendo come chiamerei mio figlio dopo avermi fatto un pompin...»-non lo lascio finire che gli tiro un pugno scherzoso all'altezza dello stomaco.

«Sono seria.»-fingo una smorfia offesa, mentre lo sento poggiare le labbra sulla mia fronte:

«Non voglio avere un figlio con te.»-le sue parole arrivano dritto alle mie orecchie, mentre il sorriso mi muore sulle labbra, tanto che alzo la testa di scatto alle sue parole per guardarlo dritto negli occhi, ma mi anticipa di nuovo:

«Prima una figlia. La nostra Katty.»

[fine ricordi]

Salgo in fretta e furia gli ultimi gradini del secondo piano, imprecando ancora per aver trovato l'ascensore rotto.

Questi appartamenti, tra cui il mio, sono tutti affittati dall'azienda per i loro dipendenti, tanto che ogni mattina mi ritrovo a salutare i miei colleghi appena varcata la soglia di casa, e capisco che l'azienda è in difficoltà economiche, ma possono trovarlo un dannato meccanico che aggiusti l'ascensore, dato che si blocca di continuo.

Sospiro pesantemente quando percorro a passi decisi il corridoio che porta al mio appartamento, mentre lancio una rapida occhiata alla porta dell'appartamento di fronte a me, chiusa a chiave da un mese ormai, quasi a ricordarmi ogni mattina del licenziamento della mia amica e di quanto l'azienda di Mikael abbia bisogno di un nuovo inizio... Prima che tutte le porte di questo palazzo si chiudano a chiave.

«Quando pensavi di dirmelo!»- spalanco il portone di casa in un gesto rapido, alzando il tono della mia voce, sicura di trovare il mio amico con mia figlia tra le braccia.

«Shh, porca miseria! Si è appena addormentata!»- mi ammonisce da lontano con uno sguardo severo, sussurrando come un bambino mentre muove lentamente le braccia in alto e in basso, ma quando realizzo le sue parole il cuore mi sale in gola e i piedi iniziano a muoversi rapidamente nella sua direzione senza che riesca a controllarmi:

«Ha pianto?! Ti avevo detto di chiamarmi...» - il tono severo della mia voce porta il mio amico a fare un passo nella mia direzione lentamente, interrompendomi quando capisce che ho bisogno di calmarmi:

«Tranquilla, ora sei qui. Joseph non ha saputo tenere la bocca chiusa a quanto pare.»- farfuglia mentre lascia la mia piccola scivolare tra le mie braccia esili e tremante, sentendomi già maledettamente in colpa per averla lasciata qui per quasi due ore, ma il mio battito cardiaco torna normale lentamente quando il mio sguardo finisce sui suoi occhi chiusi e le sopracciglia lunghe e nere poggiate sulle sue guance gonfie.

Sembra così serena che rimango a fissarla e annusare il profumo che riempie il mio petto per un tempo indefinito, dimenticandomi completamente della presentza di Mikael di fronte a me.

«Katty sta bene.»-il mio amico sembra leggermi nel pensiero. Non nego di aver già pensato di farmi licenziare per passare ore e ore a guardare mia figlia, annusare la sua pelle pallida, perdermi in quegli occhi così tremendamente scuri da farmi venire i brividi ogni volta che incrociano i miei, come se volesse rimproverarmi per la scelta che ho fatto e ricordarmi ogni volta di... quel bastardo.

Un dannato senso di colpa si impossessa di me ogni volta che ripenso al giorno in cui avevo anche solo pensato di abortire. Sono stata una stupida. Stupida codarda.

Ma se mi sono pentita di aver pensato di non voler diventare sua madre, non mi pento di averla tenuta lontano da lui.
Non me ne pento e non mi sento in colpa.

Stringo le braccia intorno al suo corpo e deglutisco rumorosamente al solo pensiero dell'ultima volta in cui i suoi occhi hanno incrociato i miei. Pieni di odio. Delusione. Persino paura.

«Non mi sento in colpa.»-sussurro tra le labbra, poggiando le labbra sulla testolina di Katty con delicatezza, ma la mia voce sembra essere stata sufficientemente alta da farmi sentire da Mikael.

«Certo che no, sarai un'ottima socia.»-poggia entrambe le mani sulle mie spalle, guardandomi dall'alto per incoraggiarmi con i suoi occhi chiari e scintillanti, facendomi ritornare alla realtà e ricordare le parole di Joseph.

«Hai già salvato la nostra azienda una volta. Puoi rifarlo, ora nelle vesti di una mia partner.»-continua a parlare, sfociando un sorriso a trentadue denti, pur sapendo che la situazione in cui mi trovo non è affatto facile.

È già difficile l'idea di non vedere Katty per più di sette ore al giorno, e non oso immaginare quanto impegno e dedizione serva a un socio di una delle aziende di moda più lussuose della Lexington Avenue di New York, soprattutto in un momento così difficile.

«Devo pensarci.»-dico schiettamente per fargli capire che non capisco cosa vedano in me.
Posso aiutare l'azienda a rialzarsi insieme ai colleghi, ma non capisco perché devo per forza mettermi a capo di un'azienda e assumermi una tale responsabilità.

«Non c'è niente di cui pensare!» - alza leggermente il tono della voce, aumentando la presa sulle mie spalle per alzare la testa e incrociare i suoi occhi, che si spostano da me a mia figlia più volte.

«Non so come riuscirò a convincerli di non farti licenziare se rifiuti la loro proposta.» - continua a guardarmi dall'alto preoccupato, così concentrato per un attimo mi sembra di essere una maledetta egoista nei suoi confronti.

Dire che Mikael è stato l'unico a supportarmi dal momento in cui ho lasciato Miami è un eufemismo, mentre io non ho fatto altro che chiedergli un favore dietro l'altro, di aiutarmi a nascondere la mia gravidanza, di stare al mio fianco il giorno del parto e ancora di badare addirittura a mia figlia come se fosse sua.

Mi aiuta anche sapendo che non sarò in grado di guardarlo come lui desidera essere visto da me.

«Perchè io? I miei colleghi...» -cerco di  capire cos'ho che gli altri non abbiano, dato che lui e i suoi soci hanno scelto i più eccellenti esperti finanziari del nordamericano.

«Perchè sei una mamma.»-alza le spalle, allargando leggermente gli angoli della bocca, in un sorriso talmente forzato che non ci metto molto a capire che è nervoso.

«Dobbiamo chiedere un supporto dalle aziende a cui siamo legati, ma per farlo ci serve qualcuno che sembri affidabile.»-conclude con un tono sempre più fievole, riprendendo a guardare mia figlia per farmi capire dove vuole arrivare, mentre il mio battito riprende a battere rapidamente al solo pensiero di essere l'unica speranza che la mia azienda ha per potersi riprendere.

La mia azienda.

Non so come si gestisce un azienda. So prevedere un calo come quello che stiamo passando, so analizzare i numeri stampati su pezzo di carta bianca e fare calcoli senza aver bisogno di una calcolatrice o del server per ricordare come sta messa l'azienda di Mikael, ma una parte di me non si sente degna di aver in mano il futuro di più di duemila dipendenti.

Ma se da un lato la testa mi dice di rischiare di essere licenziata pur di non assumermi grandi responsabilità, gli occhi imploranti del mio amico mi portano a sospirare pesantemente, mentre la mia espressione passa da indecisa a preoccupata, ma trovo lo stesso il coraggio di aprire bocca e fiatare con un tono tremante:

«Mi aiuterai a convincerli, vero?»

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Ex 3// Pregnant With My Ex (Terzo Libro) // EX TRIOLOGIA ~Ema Oqu Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora