La settimana è volata via veloce, tra scuola e lavoro. Sono distrutta, ho dormito si e no tre ore per notte, quando mi è andata bene forse quattro.
Al liceo c'è sempre quel muro tra me e tutti gli altri. Non sono mai stata tanto socievole, bloccata da un velo di timidezza, ma essere isolata da tutti è distruttivo. È normale questo peso che mi porto nel petto? Beh forse si, quando anche gli insegnanti ti guardano con occhi diversi. Quale dovrebbe essere la mia colpa? Per cosa sto pagando?
Finalmente è sabato. Questo significa due cose: per due giorni niente liceo, e, forse la cosa più importante, potrò dormire tutta la mattina e cercare di cancellare la stanchezza che mi accompagna ultimamente.
Mi sveglio direttamente alle quattro di pomeriggio, ho dormito dodici ore filate. Mi sento rincoglionita. La prima cosa che faccio è buttarmi sotto la doccia, fredda naturalmente. Mi lavo anche i capelli, sono tutti arruffati. Non faccio in tempo ad asciugarli, devo correre a lavoro. Shawn ha l'influenza, quindi mi tocca andare e tornare a piedi. E mancando da due giorni, sono due sere che non mangio nulla. Non sento neanche più la fame. Non so se sia un bene, o meno.
Il fine settimana è sempre più impegnativo al pub, già alle cinque c'è gente. Cerco di essere carina con i clienti, per quanto la mia timidezza mi permette di esserlo, sperando in qualche mancia più consistente.
Il capo mi chiama nel suo ufficio. Tremo dalla paura di essere licenziata, e lo seguo silenziosamente, chiudendomi la porta alle mie spalle.
"Cabello, Cabello..." Si siede sulla sua comoda poltroncina, sistemandosi i pantaloni e alzando poi le gambe sulla scrivania lercia. L'illuminazione in questa stanza è scarsa e traballante, sembra uno di quegli uffici che si vedono nei film degli anni '50. "Ci sai fare con i clienti, vedo." Il suo sorrisino non mi piace per nulla, mi si contrae lo stomaco e ho i brividi su tutto il corpo.
"Cerco di essere gentile." Dico piano, non sapendo cosa rispondergli. Lui continua a fissarmi, facendo scivolare i suoi occhi sul mio corpo. Sento l'impulso di coprirmi, ma resto ferma. Ho bisogno di questo lavoro.
"Mh... questo look da gattina spaurita ti sta proprio bene. Mi chiedevo... se qualche cliente mi dovesse chiedere..." Lascia la frase in sospeso, fissandomi con uno sguardo che mi fa venire la nausea.
Non mi sta chiedendo davvero quello, no?
"Non credo di aver capito, signore." Sottolineo freddamente il signore per dare un senso di distanza tra noi. Mi ha sempre detto di chiamarlo Pablo, ma fortunatamente sono testarda. È pur sempre un cinquantenne, nonché il mio datore di lavoro, e pur essendo sempre educata, non gli ho mai dato confidenza. Almeno quello.
"Oh, andiamo, micetta... Credo che tu abbia capito benissimo, sai quello che intendo. Hai bisogno di lavorare, no? Ti sto offrendo un po' di soldi facili." Di nuovo il suo sguardo sul mio corpo. Se non avessi lo stomaco vuoto, a quest'ora starei vomitando. "Che ne dici?"
"No." Gli rispondo convinta, cercando di non mostrare la rabbia e il disgusto che sto provando in questo momento nei suoi confronti. Lui resta in silenzio, fa scivolare le sua mani sulla sua pancia sporgente, ridacchiando quasi. "Posso andare?" Faccio già un passo verso la porta, facendogli capire che la discussione è terminata lì. Non mi venderò. Non sarò la puttana che gli altri credono che io sia. Solo il pensiero mi fa rabbrividire.
"Ok, ma se cambi idea... ho avuto già delle richieste per te."
Un cazzotto nello stomaco mi avrebbe fatto meno male. In che razza di società vivo?
"Beh, gli dica che non sono quel tipo di persona. Con permesso." Esco velocemente da lì. Se fossi rimasta ancora un po', avrei cominciato ad urlare dal nervoso. Viscido. Schifoso pervertito. Sono convinta che una delle proposte venga da lui, probabilmente è la prima sulla lista.
Riprendo subito a lavorare, stampandomi in faccia un sorriso talmente finto che non so come questi tizi possano sorridermi a loro volta. Da quando ho parlato con il mio capo, ogni uomo mi sembra viscido, ogni sguardo che mi lanciano sembra lasciarmi addosso una macchia. Questa sera la mia doccia fredda durerà più del normale, per cancellare questa sensazione.
E quando pensi che la serata non potrebbe andare peggio, eccoli qui. Devono aver fatto qualche festa, e una quindicina di studenti della Miami High è qui, per il bicchierino della staffa. E per rompere il cazzo a me. Deve essere stata Lucy a convincerli a venire qui, lo capisco da come mi guarda. Si, lo so. Sono inferiore, ma non ne ho colpa. Questa ragazza mi porterà all'esasperazione.
Lauren non mi guarda nemmeno, sono trasparente per lei, nonostante io stia prendendo le loro ordinazioni. Sento qualcuno sussurrare, quando già sto tornando al bancone: 'che schifo, spero che non tocchi le nostre bibite. E se ci mischia qualche malattia?", poi le risatine. Evito di sentire altro, tanto già so che parleranno male di me. Ma Dio mio, quanto può essere deficiente la gente? Mi verrebbe da sputargli nei bicchieri, se lo meriterebbero. Ora avrei bisogno di Shawn, lui saprebbe come calmarmi.
"Sono pronte le ordinazioni dei tuoi amici." Mi dice Olivia, sorridendomi, da dietro il bancone. Mi tira fuori dai miei pensieri. La fisso col mio sguardo più freddo mentre le rispondo, per sottolineare il concetto.
"Non sono miei amici." Semplicemente non ne ho.
Prendo il vassoio e mi dirigo verso di loro, lasciando la barista interdetta dalla mia freddezza. C'è ancora qualcuno che ridacchia, guardandomi di sottecchi. Li ignoro come mi sono abituata a fare. Inizio a lasciare le bibite sul tavolino, ho quasi finito quando qualcuno mi strizza il culo, forte. Un coro di risate si alza mentre mi volto, facendo cadere tre birre a terra e fulminando Austin con lo sguardo. Mi trattengo dal colpirlo in faccia, ma lo spintono e gli urlo contro. Sono infuriata, e imbarazzata. Ma è la rabbia a prevalere.
"Che diavolo ti dice la testa, stupido idiota?"
"Wo-wo, calmati, Cabello. Che sarà mai?" Minimizza lui. Posso prevedere che seguirà una porcata delle sue, ma delle voci si alzano in mia difesa, lasciandomi stupita. E lasciando stupito anche lui.
Non riesco a credere alle mie orecchie. Dinah, Normani e Lauren lo rimettono al suo posto, sono talmente sbalordita che non mi arrivano nemmeno le loro parole alle orecchie, tanto forte mi rimbomba il cuore. Riprendo il vassoio e torno al bancone. Olivia mi guarda seria, le tre birre che dovevo sostituire sono già pronte su un altro vassoio. Non mi dice nulla, deve aver capito la situazione. Riporto le birre al tavolino senza dire una parola, senza guardare nessuno. C'è silenzio, ora. Sento i loro sguardi addosso, soprattutto il suo. Non so come faccio a capirlo, è di nuovo quella sensazione a dirmelo. Mi allontano senza degnarmi di pulire il casino che ho combinato. Ci penserò quando saranno andati via.
Finalmente decidono di andarsene, sono le tre. Mi tocca pulire. Sono quasi le quattro quando finisco. Il capo viene da me e mi lascia la paga sul tavolo di fronte a me. È la metà di quanto mi aspettassi, e gli chiedo la motivazione. Indica i cocci di vetro, sorridendo malvagio.
"Ma..." Cerco di giustificarmi. Sono sicura che ha assistito a tutta la scena.
"Niente ma, Cabello. Il cliente ha sempre ragione." Strizza gli occhi, aspettando una risposta.
Bastardo. Vuole vedermi in ginocchio, e non solo letteralmente, ma non avrà questa soddisfazione. Ingoio il rospo. Non posso fare altrimenti. Prendo i soldi, mi infilo la giacca di jeans ed esco dal pub diretta a casa. Camminare mi aiuterà a calmarmi.
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Who are you? - Camren
FanfictionCamila, 15 anni, all'improvviso scompare dalla circolazione, per riapparire circa dieci anni dopo, ed incontrare le sue vecchie nemiche/amiche: Lauren, Dinah e Normani.