Capitolo 16

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È notte fonda quando finalmente scendo dall'autobus. Miami. Sono passati... quanto? Quasi dieci anni dall'ultima volta in cui sono stata qui. Non so perché sono tornata proprio qui, ormai non ho più nessuno che mi aspetta in questa città. Ma qualcosa mi diceva di tornare, non sarebbe bastata una semplice città. Volevo tornare qui, nonostante io sia ormai un fantasma.

Con mia figlia tra le braccia, profondamente addormentata, e una valigia che mi trascino stancamente dietro, mi avvio al motel più vicino. Entro e chiedo una stanza.

"La devo registrare, signora. I vostri nomi?"

Il mio nome? Non sono più Camila Cabello da quasi dieci anni. E non sarò mai più Camila Hussey. Piuttosto la morte.

"Karla. E lei è mia figlia, Amy."

"Ok, e il vostro cognome?"

"Estrabao." Mi esce velocemente. Pago in contanti. Fortunatamente non ci chiede i documenti, ci chiede soltanto quanto resteremo. 

"Credo per qualche giorno."

"Gita di piacere?" L'uomo mi sorride, cerca di essere educato. Ho la stessa reazione che ho ogni volta che una persona cerca di essere carina con me, uomo o donna che sia. Mi tocco la cicatrice che ho sotto il collo, invisibile. Ma la posso sentire nitidamente sotto i polpastrelli, e rabbrividisco.

"No." Prendo la chiave dalle sue mani, e mi avvio verso la stanza numero 13, chiudendomici dentro. Svesto Amy, recupero il suo pigiamino dalla valigia, infilandoglielo, e le metto il suo orsacchiotto preferito tra le braccia. La copro con il lenzuolo, svestendomi per fare una doccia. Mi vesto subito, non sopportando l'immagine del mio corpo nudo. E finalmente, dopo quasi 36 ore di viaggio, mi stendo sul letto. Stremata, mi addormento in pochi momenti.

All'alba, mi svegliano le urla di mia figlia. È sudata, e si agita scomposta, colpendomi a tratti.

"Amy... Amore, amore svegliati."

La scuoto piano, e finalmente vedo i suoi occhi aprirsi e incrociare i miei. Sono lucidi, trattiene le lacrime. Si getta tra le mie braccia, iniziando a singhiozzare. La stringo forte, le accarezzo i capelli e le ripeto che è tutto finito. Vedere mia figlia in questo stato, mi distrugge. È colpa mia, di suo padre e delle mie scelte di merda. Finalmente si calma, si riaddormenta ancora con le lacrime che le rigano il viso. La tengo ancora tra le braccia, cullandola dolcemente. Non so se sto confortando solo lei, o anche me.

Il contatto mi riporta alla mente la mia sorellina, Sofi. Ripenso spesso a lei. anche se non so più nulla della sua vita. Sono passata dal dormire abbracciata a lei a dormire con... No, non devo pensarci più. Chissà come sta Sofi, se anche lei ogni tanto ripensa a me, piange per me. Ormai sarà un'adolescente. Non avrei mai pensato di non vederla crescere, di non sentirla più nella mia vita. Di non sentire e non sapere più nulla dei miei stessi genitori. Mi accorgo di star piangendo. Mi riscuoto, non posso crogiolarmi nel dolore, devo affrontare tutto questo.

Prendo il cellulare che ho comprato ieri, non ho nessun numero in rubrica. Del resto, non ho nessuno da chiamare. Apro internet e faccio una semplice ricerca. Psicologi infantili a Miami. Mi stupisco di trovarne tanti, è una pugnalata al cuore. Leggo un po' di recensioni. Non immaginavo che la gente facesse recensioni anche su medici e psicologi. Ormai su internet si trova di tutto. Escludo gli uomini, non potrei mai fidarmi di uno di loro. La scelta cade su una donna, sembra sia tra le migliori. Trovo addirittura una sua fotografia: bionda, sorriso sincero e gentile, occhi buoni, dolci. Capisco che Amy ha bisogno solo di lei. Chiamo il suo ufficio per un appuntamento, riesco ad averne uno tra tre giorni.

"Tre giorni, amore." Sussurro piano per non svegliare la mia piccolina. "Solo tre giorni, e finirà tutto, te lo giuro." Mi si inumidiscono gli occhi. È tutta colpa mia, mi ripeto, delle mie maledette scelte, della mia schifosa, patetica vita. Se non ci fosse stata lei, probabilmente l'avrei fatta finita già da un po' di tempo. Lei è la mia sola ragione di vita.

Il suo movimento mi risveglia dal vortice dei miei pensieri. Le sorrido, vedendola aprire piano gli occhi, stavolta è tranquilla. Il contatto con me la tranquillizza sempre. Mi stringe forte.

Trascorro i giorni seguenti cercando un appartamento, e guardandomi intorno con il terrore di incontrare qualcuno di mia conoscenza. Non so se ho fatto bene a ritornare qui, in fin dei conti. Trovo una piccola casetta, vicino al mare. C'è solo una stanza da letto, ma va bene per noi due. Il prezzo non è esagerato, e il padrone di casa non vuole documenti, gli basta essere pagato in anticipo. Ci trasferiamo subito lì, lasciando quell'hotel un po' squallido. Inizio a cercare un lavoro, naturalmente senza contratto, visto che non voglio essere trovata da nessuno. In questi anni sono riuscita a mettere da parte un po' di soldi, ma non dureranno a lungo.

"Mamy." Amy mi  chiama mentre cerchio le offerte di lavoro, seduta sugli scalini del piccolo portico di casa. La brezza è piacevole, questo è uno dei miei posti preferiti.

"Amore, dimmi." La piccola viene ad accoccolarsi a me. È di una dolcezza unica. Vivo per lei. E morirei per lei. Aspetto che parli. Si tortura le mani.

"Io... io non voglio andare dal dottore." È un po' come me, non ama gli estranei, e nemmeno tanto gli uomini.

"Piccola, innanzitutto è una dottoressa, è davvero carina, sono sicura che ti piacerà. E poi è un tipo di dottoressa che non ti fa nulla, devi solo parlarci." Le leggo l'agitazione negli occhi. "Sarò lì con te, amore." La rassicuro.

"Non possiamo semplicemente andare a vedere il mare?" Prova a convincermi. Parlo ancora un po' con lei. Capisce che è per il suo bene, e finalmente accetta di andare. Passeggiamo fino al suo studio, il sole primaverile è piacevole, e lo studio non è lontano dalla nostra piccola casetta. Siamo in perfetto orario, una segretaria ci fa accomodare subito nello studio della donna.

Mia figlia si nasconde dietro le mie gambe, impaurita. Guardo la donna di fronte a me, rendendomi conto che è appena più grande di me, avrà due o tre anni in più al massimo. Le mie impressioni si rafforzano con il suo sorriso. Mi porge la mano.

"Allyson Brooke, ma potete chiamarmi Ally."

"P-piacere." Ho ancora il vizio di balbettare. Mi tocco la cicatrice con la mano sinistra, mentre con la destra stringo la mano alla dottoressa. Amy si stringe ancora di più a me. "S-sono K-Karla. E lei è"

"Tu devi essere Amy. Piacere, timidona." La dottoressa si è inginocchiata per essere all'altezza di mia figlia. Lei tira fuori un po' la testa, per poi ripararsi nuovamente dietro le mie gambe.

"S-si, è... è un p-po' timida." La giustifico. La dottoressa si alza, sorridendomi.

"Non è la sola, direi." Mi sorride, indicandomi il divano e invitandoci implicitamente ad accomodarci.

"Vieni, amore, sediamoci." Prendo la mano di Amy tra le mie.

"In realtà, Amy, vorrei che tu scegliessi un gioco tra quelli laggiù." Io e mia figlia ci voltiamo per vedere un'intera parete piena di giocattoli. Lei si volta a fissarmi, desiderosa. Le sorrido, annuendo. Si allontana, lasciandomi con la psicologa, che mi osserva. Mi sento agitata da quegli occhi dolci, ma allo stesso tempo interessati. Mi siedo sul divano, lei si avvicina e si siede sul bracciolo, molto vicina a me.

"È così giovane, siamo quasi coetanee... Posso darle del tu, Karla?"

"C-certo." La mia mano va nuovamente al collo, accarezzo la mia cicatrice.

"Al primo appuntamento, lascio il tempo ai bambini di adattarsi, e ne approfitto per parlare con i loro genitori. Cerco di capire la situazione, se capisci cosa intendo." Annuisco. Lei attende un attimo prima di parlare. "Sei sposata, Karla?" Evito il suo sguardo.

"S-si." La mia voce esce in un filo.

"Ok. Dov'è suo padre?" 

"Lontano da qui." Dico, con una vena di nervosismo. Mi mette una mano sulla mia, che ora è sulla coscia. Sobbalzo, rifiutando il contatto. Ristabilisco una certa distanza da lei, cercando di calmarmi. So che mi sta analizzando. I suoi occhi sono pieni di comprensione. Annuisce, riflettendo.

"Ho bisogno di sapere cosa è successo, per essere in grado di aiutare Amy, e anche te, Karla." Mi faccio forza per mia figlia, controllando che non possa sentirci. E inizio a raccontare la mia storia. O almeno, una parte.

Who are you? - CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora