Noi siamo i nostri mostri

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Scappa, fuggi, evadi

da questo mondo corrotto

prima che sia troppo tardi.

Zoe

<Caym.> pronunciai esitante.

Non mi ascoltò e continuò a fissare Liam.

Dovevo fermarli ancora prima che avessero modo di iniziare.

<Grazie Liam per essere passato.> lo congedai con un sorriso tirato.

Passò i suoi occhi su di me e ascoltando le mie preghiere uscì lentamente dalla porta.

Caym era ancora sull'uscio ed era me che ora stava guardando.

Essere osservata in quel modo mi metteva disagio.

Mi toccai il mio nastro rosso in un gesto nervoso. Improvvisamente entrò e si chiuse la porta dietro.
<Oh, Alice, Alice. Quando capirai che non devi scherzare con me?> era una minaccia?

<Caym non hai nessun diritto di parlarmi in questo modo.> cercai di mostrarmi il più decisa possibile. <Ecco, questo lo devi ancora capire. Io ho tutti i diritti su di te.> rabbrividii.

Perché mi perseguitava?
<Cosa vuoi da me?> piagnucolai.

<Tutto. Io da te voglio tutto.> era impazzito.

Indietreggiai di qualche passo ma urtai contro il divano e ci caddi sopra.

Non ebbi il tempo di alzarmi che Caym si era piazzato sopra di me. Sgranai gli occhi.

Strinsi le gambe e portai le dita sul nastro tra i miei capelli.

<Hai paura?>

<Non ho paura.> ma la mia voce mi tradiva.

<Non ti preoccupare, per quello c'è tempo.> alzò l'angolo della bocca.

A quel punto decisi di lasciar parlare il mio cuore.
<Tu ti credi un mostro?> capii dalla sua espressione che quella domanda lo aveva sorpreso.
<Non riesci a vederlo tu stessa?> mi schernì.
<Da piccola avevo sempre il terrore del buio. Temevo che i mostri che si nascondevano al suo interno potessero attaccarmi.> sorrisi.

<Che assurdità.> rispose lui ridendo mentre si arrotolò tra le dita il mio nastro rosso.

Ne sembrava dipendente.
Ogni volta doveva sfiorarmelo.

<Non ci credo che da piccolo tu non avessi paura del buio.> affermai sicura.
<Non si ha paura dei mostri che si nascondono nel buio quando il mostro sei tu.> non smise di giocare con il mio nastro.

<Perché dici questo?> volevo sapere.
<Tu il male non lo riesci proprio a vedere.

Eppure, te l'ho dimostrato più volte, lo sto facendo in questo preciso momento. Sono sopra di te e tu ridi.

Così non vale però, stai barando.

Sai benissimo come fare del male alle persone.

Le persone peggiori non sono quelle che fanno male appositamente, sono quelle che inconsciamente lo fanno.> si decise a guardarmi.

<Mi credi così crudele?> chiesi con una strana sensazione nel petto.

<Sì. Sì.> ripeté più volte sempre più convinto.

Dopo di che si alzò e uscì dalla porta.
Io rimasi a guardare il soffitto.
Sono così crudele? Sì, lo sei.

Mi diede conferma la mia mente.

Una lacrima mi rigò il viso. Crudele anche lei.
Dormii fino alla mattina seguente.

Quella notte sognai mia madre.

Mi guardava affranta con i lineamenti del viso sfocati. Era delusa.

Delusa di avere come figlia un problema come me.

Dovunque mi girassi c'era qualcuno pronto a ricordarmi quanto io non valessi niente.

Tutti erano migliori di me.
E il mio meglio equivaleva al peggio di qualcun altro.

Mi ricordai di dover andare da Vicky.

Mi sistemai velocemente e uscii di corsa.
Arrivai lì in poco e bussai al grande portone. Mi aprì la domestica.

<Salve.> la salutai. <Zoe, ricordo bene?> chiese ed io annuii.

<La signorina Vicky la sta aspettando.> mi fece entrare. <Grazie mille.> la ringraziai e cercai di ricordare dove fosse camera sua.

Una volta trovata la porta bussai. <Avanti.> sentii dire.

Entrai e ritrovai seduti sul letto Vicky e Trevor. Trevor si girò e...

<Che cosa hai fatto!> esclamai ridendo.

Lui mi guardò con una smorfia arrabbiata e Vicky cominciò a ridere con me.

<L'ho convinto a farsi truccare.> disse la mia amica.
<No, diciamo le cose come stanno. Tu mi hai obbligato a truccarmi. Mi hai minacciato di cacciarmi via.> esortò Trevor.

<Ma sembra un clown.> affermai io.

E lo sembrava davvero.
Gli mancava solamente la parrucca.

<Beh, non che faccia tanta differenza dagli altri giorni.> commentò Vicky.

Trevor gli lanciò un cuscino. Iniziò così una lotta di cuscini.

E risi, risi tanto.

Quando tornò la tranquillità ci mettemmo seduti sul letto.

<Posso chiedervi una cosa?> parlai io. <Dicci pure.>
<Devo chiedere in giro il lavoro dei nostri genitori per il giornalino scolastico. Non è che vi andrebbe di raccontarmi dei vostri?> proposi.

<Inizio io.> disse Trevor e Vicky alzò gli occhi al cielo.

La mia amica poi andò a prendermi un foglio e una penna.

<Allora, mio papà fa il meccanico mentre mia mamma è segretaria.> annotai.

<Vicky se tu non vuoi...> mi interruppe.

<No, va bene.> mi sorrise. <Allora dimmi.>
<Mia mamma era infermiera mentre mio papà gestisce la maggior parte delle aziende farmaceutiche del paese.> rimasi senza parole.

<Tuo padre gestisce tutte quelle aziende?> chiese allibito Trevor. Vicky annuì senza troppo entusiasmo.

Non proseguimmo sull'argomento e ci divertimmo per tutto il resto della giornata.

Sono così crudele? Sì, concordò anche il cuore, lo sei.

Lo sbiaditoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora