Arya

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-Ora mi dici cosa succede? – chiese Misha, irritato, quando chiusi la porta quando lui entrò in cucina.

Misha non sapeva della malattia, e ora gli stavo per sganciare una bomba sulla testa.

Così feci un gran respiro e gli raccontai tutto.

Di mio padre che faceva quelle cose orribili a mia madre, e poi a me.

Di quando sono scappata di casa.

La verità sulla morte di mamma.

Degli incubi che ogni notte mi perseguitavano, da anni.

Quando, finalmente, il racconto giunse alla fine guardai Misha per la prima volta da quando avevo iniziato.

Era impassibile, il volto pallido. – Misha, ti prego, di qualcosa. – lo pregai. Il silenzio mi stava uccidendo. Se lui ora mi avesse vista in modo diverso, se ora non voleva più vedermi, o non avere più niente a che fare con me o che sarebbe diventato come papà, non l'avrei sopportato.

Lui si sedette sulla sedia, continuando a tenere lo sguardo su di me. – I-Io... - balbettò.

-Ecco, ora mi odi. – le lacrime mi salirono agli occhi.

Misha saltò giù dalla sedia, barcollando, venendo da me. Poggiò una mano sul mio viso. Sentii un brivido lungo la schiena. – Non ti odio. – disse. – Come puoi solo pensare una cosa del genere! Mai ti odierò. –

-Allora parla, dimmi cosa pensi di me ora che sai tutto! – dovevo calmarmi o Logan avrebbe dovuti rianimarmi, ancora una volta.

Lui mi sorrise, un strano luccichio gli passò negli occhi. Qualcosa che non sapevo riconoscere. – Arya, tu sei sempre la bambina che vedevo sempre raccogliere margherite davanti al cancello di casa. –

Sorrisi, esitante. – Davvero? –

-Certo. –

Improvvisamente mi accorsi che eravamo troppo vicini, pericolosamente vicini. Non me ne accorsi subito, non finché non vidi il mio riflesso negli occhi di lui.

Occhi che, ora, brillavano ancora più di prima.

Non fino al momento in cui i nostri respiri si fusero.

La mano di Misha ancora sulla mia guancia, con il pollice me l'accarezzava...

Indietreggiai di colpo, finendo quasi per perdere l'equilibrio.

-Bene... ehm... ora che sai tutto e che finalmente sono certa di non essere trattata come un mostro da te... - dissi con voce stridula.

Lui sembrava non essersi ancora ripreso del tutto dal mio allontanamento, ma riuscì comunque a dire, accigliato: - Non sei un mostro... -

-Puoi andare, abbiamo un sacco di lavoro da fare, tra poco dobbiamo anche ripartire. – inventai una scusa. – Ti accompagno alla porta. Scusa se ti mando via così, ma abbiamo davvero un sacco di lavoro... -

-Tranquilla. – disse lui con un enorme sorriso in volto. Si vedeva che l'idea di andarsene non gli piaceva affatto.

Quando uscimmo dalla cucina, il salotto era vuoto. Nessuna traccia di Kat o Logan, Ness e gli altri sarebbero tornati a momenti quindi ero certa che non ci fossero neanche loro.

Arrivammo alla porta d'ingresso, però, Misha, prima di uscire si girò di nuovo verso di me. – Sono contento che tu stia meglio. –

Gli rivolsi uno dei miei più veri sorrisi. – Grazie per avermi portata qua. –

-Mi piace il tuo ragazzo, - disse dopo. – è simpatico, e ti ha salvato la vita. Sembra un bravo ragazzo. –

Bravissimo. Un santo sceso dal paradiso.

Quanto avrei voluto dirgli anche il resto della storia, dei coltelli sotto al cuscino o delle fiale di veleno nella borsa, ma sarebbe stato troppo per lui. Così mi limitai a sorridergli. – Si, lo è. –

-Finalmente hai trovato qualcuno che ti ama. Sono felice per te. – quelle furono le ultime parole che mi disse prima di richiudersi la porta alle spalle.

Rimasi lì, a fissare quella porta finemente decorata, a lungo.

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