Capitolo 16

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“Ora dimmi perché l’hai fatto? Perché!?” sussultai e chiusi gli occhi voltandomi dall’altra parte per quanto alzò la voce “ti... ti prego non urlare” in queste condizioni ero solita a prendermele. Alzo la mano, grandioso e cosa dovevo aspettarmi quei due si dovevano intendere, ora mi picchierà a morte, “ti prego…ti prego no” mi faceva ancora male da per tutto non avevo di certo dimenticato il dolore che provavo, avevo solo cercato di reprimerlo il più possibile. Stranamente non mi colpì ma diede un pugno al muro a distanza di qualche centimetro dalla mia faccia, tanto da sentire quel piccolo venticello creato dallo scontro delle nocche contro il muro. “pensi che faccia tanto schifo da picchiare la mia donna” perché non è questo che fanno quelli come lui? D'altronde non avevo conosciuto altre parti del mondo in cui vivevo se non la violenza e la paura. Non mi scomposi ero ancora pietrificata mi sentivo un tutt’uno con il muro, lui se ne andò con furia, sbattò la porta con forza. Crollai a terra strinsi le mie ginocchia al petto, stavo per avere un attacco di panico, non capitava da 3 giorni ed era un grande traguardo per me di solito capitava 2 o 3 volte al giorno.
Iniziai a vedere tutto sfocato, il respiro si faceva sempre più corto e la mia testa non riusciva a tenere un punto fisso. Gli paragonavo all’inferno. Ogni volta che ne avevo uno sentivo una voce femminile flebile, la sua voce era una carezza sul viso mi ripeteva “va tutto bene, sta tranquilla va tutto bene” non penso che siano le parole che questa voce nomina a far cessare l’inferno ma ben si la voce stessa, mi era famigliare. Ma non conoscevo nessuno che avesse quel tono di voce. “pensi che faccia tanto schifo da picchiare la mia donna” quella frase mi rimbombava in testa. Dopo ciò che era successo nel suo ufficio nessuno dei due ha più avuto uno sguardo o una conversazione con l’altra. Ero seduta in camera sul mio letto, con le gambe al petto e una coperta alle spalle e fissavo il vuoto. Quella frase… perché non riesco a liberarmela dalla testa io non la voglio più sentire. Ad interrompere il mio stato di quiete fu proprio l’uomo che mi aveva messo in testa quelle inutili parole. Non mi rivolse una parola nemmeno uno sguardo, prese le sue cose ed andò in bagno. Non vorrà mica dormire nella stessa stanza. Dopo 10 minuti si presentò con i pantaloni della tuta ed una maglietta bianca, alzo le coperte e si distese non mi degno neanche di uno sguardo. “dormi qui? ” gli chiesi visto che non aveva intenzione di parlarmi e ne guardarmi. “è la mia camera è logico che dormo qui” disse dandomi le spalle. Aspetta, ero nella sua camera, ciò vuol dire che non avevo dormito in una stanza qualunque prima, ma nella sua stanza. Mi alzai dirigendomi verso la porta, avrei giurato che mi stava fissando ma quando mi girai era ancora nella stessa posizione di prima, forse stava dormendo. Quella casa era un labirinto non sapevo dove andare, però sapevo dov’era il giardino.

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