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PORKO POV

<<sicuro che non vuoi che rimango un po' io con lei? dai vai a mangiare qualcosa, prenditi solamente un'ora di riposo, ti prego Porko>> Marcel era in piedi davanti alla porta.
avevo passato una settimana intera chiuso in quella stanza d'ospedale insieme a lei, a guardare i dottori che cercavano di curarla, e a stringerle la mano sperando in un risveglio, che però non sembrava voler accadere.
<<sto bene così>> risposi seccato.
<<no non stai bene! so che non la vuoi abbandonare, ma guardati, sei ridotto una merda pensa un po' anche a te stesso!>>
<<sai come è andata a finire l'ultima volta che l'ho fatto>> tenevo di nascosto la mano alla ragazza, da sotto il bordo del letto, nascosto dalle sbarre laterali.
<<sono serio...fratellino, ti prego ascoltami, vai a casa e fatti una doccia, mangia qualcosa e poi torni qua, ci sarò io a tenerle compagnia, e per qualsiasi cosa ti chiamo>> lo sguardo del ragazzo era di supplica.
guardai il volto di Pieck.
<<non voglio lasciarla>>
<<Porko...per favore...non credi che le farebbe piacere sapere che tu stai bene fisicamente?>> domandò accarezzandole la fronte.
fulminai la sua mano con lo sguardo e lui la tolse subito.
<<giusto il tempo di una doccia>> mi alzai in piedi stiracchiandomi.
<<non la toccare>> sibilai afferrando il polso del ragazzo.
<<tranquillo>> rispose sospirando.
uscì dalla stanza con sguardo basso.
in corridoio trovai Annie, stava facendo la rianimazione, infatti si muoveva con un carrellino, accanto a lei come al solito c'era Armin.
<<lasci la tana?>> chiese la ragazza alzando un sopracciglio.
non risposi la guardai male e basta.
<<di poche parole come sempre>> sibilò lei continuando a camminare col suo carrellino.

entrai nella macchina, non la prendevo da quasi una settimana, mi guardai nello specchietto retrovisore, ero seriamente un coso lercio.
guardai alla mia destra e risi leggermente quando mi ricordai di Ernesto, non ci credo che era successo seriamente qualcosa fra noi due.
mi massaggiai le tempie cercando di non ricordare e accesi la macchina.

arrivai a casa e parcheggiai l'auto nel vialetto.
scesi e andai verso la porta.
la casa era vuota, ed era rimasta proprio come l'avevo lasciata il giorno in cui avevamo litigato.
la coperta che usava per coprirsi quel giorno era ancora lì per terra, arrotolata su se stessa.
mi avvicinai e la presi in mano, c'era ancora un po' del suo odore in quel pezzo di stoffa, vaniglia, il suo profumo preferito.
la poggiai sul divano lentamente.
mi soffermai su tutti i piatti sporchi nel lavello, la tavola mai sparecchiata. l'aria di chiuso che c'era in casa mi infestava le narici facendomi soffocare.
salì al piano di sopra in silenzio.
il corridoio era sempre il solito, solamente che non c'era più la sua risata clamorosa per le stanze, o il rumore dei suoi passi che andavano avanti e indietro per sbrigarsi delle cose, niente di tutto questo.
entrai in bagno e presi un'asciugamano appendendola a muro.
entrai nella doccia e tolsi tutto lo sporco, e tutte le sensazioni che avevo provato fino a quel momento, farsi la doccia era come un gesto liberatorio per me, l'acqua che scorreva sulla schiena che mi faceva risvegliare, l'idea che da lì dentro sarei uscito come rinato.

uscì dal box e mi asciugai indossando dei nuovi vestiti.
i capelli erano ancora bagnati e alcune ciocche mi ricadevano sul viso mentre cercavo di farle stare all'indietro anche senza gel.
me ne andai dal bagno e mi fermai davanti la porta di camera sua.
il letto era disfatto, sopra il comodino c'erano cerotti e disinfettanti, e la specchiera, era ancora frantumata in quel modo così tanto raccapricciante.
presi tutte le carte di cerotti che riempivano il letto per poi buttarle nel cestino, ma qualcosa attirò la mia attenzione più del dovuto.
accanto al cestino ormai pieno di cartacce, ci stava un cassetto di un piccolo mobile, semiaperto.
la curiosità ebbe la meglio su di me e piano piano lo aprì.
al suo interno vidi una busta di carta con dentro una foto.
la presi in mano e la scrutai con gli occhi sgranati.
gli occhi chiari della donna mi fecero rabbrividire, gelidi come il ghiaccio, ma in una forma morbida come la neve.
i capelli neri lunghi e scompigliati che ricadevano sulle spalle, e un leggero rosso che le tingeva le labbra.
girai il foglio confuso, e vidi dietro scritto un nome.
<<"Ivory">> strizzai gli occhi per assicurarmi di aver letto per bene il nome.
non mi ci volle molto a capire chi fosse, bella, capelli neri, lineamenti del viso famigliari, era la madre di Pieck.
mi misi la foto in tasca e presi in mano invece la busta che l'affiancava, era sigillata, o almeno lo sembrava, perché si poteva notare un angolo in cui la carta era così tanto stropicciata, da far capire che qualcuno ci avesse già sbirciato dentro.
la aprì non curante e non appena vidi il contenuto al suo interno spalancai gli occhi facendola cadere per terra.
soldi, tanti, tantissimi soldi.
la ripresi di colpo e richiudendola, la sigillai dentro il cassetto, perché Pieck aveva quel bottino?
uscì dalla stanza con ancora gli occhi sgranati e mi guardai attorno.
una gocciolina d'acqua mi percorse la fronte fino allo zigomo.
vidi la porta della stanza di suo padre, non ci ero mai entrato, me lo aveva sempre vietato.
mi avvicinai alla maniglia, sapevo che non le avrebbe fatto piacere, scoprire che io le avessi disubbidito su una cosa che la riguardava, ma io avevo bisogno di vedere, la mia curiosità mi stava uccidendo.
aprì la porta lentamente, non era nulla di che quella camera, colori sulle tonalità del grigio, un grande armadio a muro e una cassettiera davanti al letto, a cui sopra era appeso uno specchio, era semplice, spaziosa, veramente bella.
vidi delle foto sulla cassettiera, mi avvicinai ad essa e le scrutai una ad una.
la prima ritraeva semplicemente un paesaggio, nuvoloso, spento, che si intonava perfettamente allo stile della camera.
la seconda invece era una foto di famiglia, c'erano tutti e tre.
passai il dito sopra la figura minuta e sorridente di Pieck, alla sola età di cinque anni.
i lunghi capelli neri che le si appiccicavano probabilmente alla fronte sudata, e due possenti braccia che l'avvolgevano, quelle di suo padre.
poi c'era di nuovo la figura di sua mamma, era delicata, silenziosa, elegante.
e con il suo solito sorriso stringeva la piccola manina di Pieck.
"soffriva di schizofrenia" quella frase trascritta sul diario della ragazza mi ritorno alla mente, eppure guardando la donna da quella prospettiva non si sarebbe mai detto.
poi c'era una foto del matrimonio dei suoi genitori, il mio sguardo ritorno sempre sulla donna, era bellissima, quell'abito a sirena le metteva in risalto le forme snelle ma comunque affascinanti, Pieck le somigliava parecchio.

poi c'erano diverse foto di Pieck da piccola, come il suo primo giorno di scuola, o lei che faceva il bagno, o giocava nell'ufficio di suo padre, con ancora la mamma accanto a lei che la stringeva fra le braccia.
poi vidi un'altra foto, qui si ritraeva un bellissimo paesaggio rispetto a quello di prima, era la vista da una crociera.
girai la foto e dietro ci vidi incastrato un bigliettino.
lo presi in mano e lo lessi.
"alla mia piccolina, che sogna tanto di viaggiare" è vero, Pieck aveva sempre voluto viaggiare, me lo aveva detto più di una volta, ma con tutte le cose che le erano accadute fin dalla giovane età era stato impossibile per lei.
un giorno di questi l'avrei portata in giro per il mondo, me lo promisi da solo, ed ero consapevole che se non avessi mantenuto quella richiesta, mi sarei sentito spento e inutile per il resto della mia vita.
il telefono squillò.
posai subito la foto e risposi velocemente non appena vidi che era una chiamata da Marcel.
<<Marcel!>> risposi col cuore in gola.
<<Porko devi correre qui, si è mossa>> la sua voce era affannata, come se fosse sorpreso.
un sorriso mi percorse le labbra.
<<arrivo subito!>> chiusi la chiamata e uscì dalla stanza.
corsi giù per le scale e chiusi la porta di casa a chiave.
la mia macchina era lì ad aspettarmi.
ci entrai dentro e misi in moto velocemente.
dovevo sbrigarmi, volevo che quando si svegliasse al suo fianco avesse me, me e non qualche dottore a spiegarle cosa fosse successo, solo io.
volevo farle capire che anche se me ne ero andato una volta non l'avrei fatto mai più, e questo era il modo giusto per dimostrarglielo.

entrai nella stanza d'ospedale di fretta, erano tutti la fuori, tutti i nostri amici.
li avevo superati senza neanche salutare, per ora il mio unico pensiero era lei.
i dottori stavano attorno al lettino della ragazza con sguardi confusi, mentre Marcel andava avanti e indietro per la stanza.
<<che è successo?>> chiesi andando verso mio fratello.
<<niente, io ero la seduto e improvvisamente il cardiografo ha iniziato a fare più rumore e lei, si è lamentata muovendo le gambe, ma è stato solo un'istante, poi ha smesso>> il suo sguardo era preoccupato.
mi voltai verso i dottori che mi guardavano confuso.
<<rapporto col paziente?>> chiese uno alzando un sopracciglio.
<<non vogliamo amici nella stanza, solo famigliari o->>
<<sono il suo ragazzo, lui è mio fratello>> indicai Marcel con il pollice.
i dottori si guardarono fra loro annuendo e fecero uscire Marcel.
<<non abbiamo capito bene cosa è successo, potrebbe essere che la ragazza sta avendo dei miglioramenti, potrebbe pure svegliarsi...ma a volte i pazienti in coma, hanno piccoli movimenti per via dei riflessi che si attivano, non sappiamo dare una risposta a quello che è successo>> alcuni dei dottori lasciarono la stanza, all'interno rimase solamente il dottor Robert, che non si era mosso fino a quell'istante.
<<non mi sarei mai immaginato di vederla nelle stesse condizioni di suo padre>> rispose sottovoce non distogliendo lo sguardo da lei.
mi buttai seduto sulla poltrona, mi massaggiavo le tempie doloranti.
<<quindi alla fine non era nulla...solamente riflessi>> sibilai incrociando lo sguardo del dottore.
lui non rispose, si fermò a guardarmi e poi guardò di nuovo la ragazza.
<<oppure no...i dottori hanno detto che potrebbe aver riscontrato dei miglioramenti...parlale>> si impunto sull'ultima parola alzando un sopracciglio.
<<ma lo faccio, lo faccio tutti i santi giorni, e non cambia mai nulla>> ci avevo sperato troppo, e come ogni bel sogno era andato tutto quanto in frantumi.
<<e allora prenditi tempo per te, se il destino vorrà che lei riprenda coscienza, così sarà, ma devi avere pazienza>> rispose prima di girare i tacchi e uscire dalla stanza chiudendo la porta.
lo sentì parlare con i ragazzi fuori.
mi alzai e andai verso il bordo del letto.
la ragazza aveva i capelli appiccicati alla fronte.
li spostai.
<<siamo così diversi noi due>> sibilai ricordando delle foto sue che avevo visto prima in camera del padre.
eravamo cresciuti in due mondi completamente estranei a noi.
io con disciplina e rigore, dalla severità dei miei genitori.
lei con divertimento e frenesia.
ci capivamo sempre in molti ambiti, ma in fondo si sapeva che non avevamo nulla in comune.
litigavamo spesso, avevamo due modi diversi di guardare la vita.
Eppure...
<<ma in fondo fa niente...>> le accarezzai la guancia.
<<...perché i mosaici più belli sono fatti da pezzi che non combaciano fra loro>> mi alzai in piedi, pronto ad andare via da quella stanza bianca e spuria.
ma qualcosa mi fermò.
una presa calda sul mio polso...no non poteva essere vero...

&quot;𝘐 𝘨𝘰𝘵 𝘺𝘰𝘶&quot;Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora